“Sogno di una notte di mezza estate” – William Shakespeare


Voto: / 5

Che burlone, questo Shakespeare. Che fantasia. Quali sogni notturni deve fare, un’autore, per immaginare che uno scherzo possibile sia infilare una testa d’asino a una persona proprio mentre un’altra, nello specifico la regina delle fate, è sotto incantesimo, in modo da farla innamorare? È quello che accade in “Sogno di una notte di mezza estate” e lo ha pensato William Shakespeare più di quattrocento anni fa.


Trama di Sogno di una notte di mezza estate

copertina teatro shakespeare 1997

Al centro della commedia c’è un clichè: lei (Elena) che ama lui (Lisandro) che, però, riamato, ama un’altra (Ermia), a sua volta promessa sposa a un secondo uomo (Demetrio). Su un piano narrativo parallelo, il re e la regina delle fate Oberon e Titania bisticciano per l’utilizzo di un paggio, così Oberon decide di usare una pozione magica su Titania che la farà innamorare della prima persona che vedrà e smetterà di impuntarsi sul paggio.

Mentre si legge è difficile sganciarsi dall’immagine della coppia Michelle Pfeiffer – Rupert Everett che impersonano Oberon e Titania nel film del 1999 diretto da Michael Hoffman. Ad aiutare Oberon c’è Puck, figura effervescente che per me coincide, più che con quella di Stanley Tucci nel film di cui sopra, con l’interpretazione di Jeremy Irons ne “L’attimo fuggente” (1989): eterea, sottile, con gli occhi a punta e il sorriso malandrino.

Insomma, andrebbe tutto bene se non ci fosse un equivoco. Oberon incarica Puck di usare la pozione

Jeremy Irons interpreta Puck nel 1989

anche sugli occhi di Demetrio, in modo che si innamori di Elena e lasci libera Ermia di amare Lisandro… ma come nelle migliori commedie che si rispettino, arriva il mistake, l’errore, a cambiare le carte in tavola. A venire incantato non è Demetrio ma Lisandro, che a questo punto scaccia Ermia e rincorre Elena, che intanto soffre tantissimo perché pensa che sia tutta una colossale presa in giro. Un bel pasticcio, insomma.

Recensione e analisi

“A midsummer night’s dream” è una delle migliori prime commedie del commediografo William Shakespeare: è attribuito al 1595 e sarebbe così di uno Shakespeare trentenne, che era già passato attraverso la fase dell’history play (il dramma storico) ed era approdato a un filone che oggi definiremmo più romantico, in cui vengono inclusi anche lavori come “Il mercante di Venezia” e “Molto rumore per nulla”. Si tenga conto, comunque, che è sempre difficile datare con precisione le sue opere.

«Lasciatemi andare. Vedete com’è chiaro e semplice il mio amore»

«Ebbene, vattene, chi te lo impedisce?»

«Questo mio cuore innamorato, che non può venir via con me»

Rupert Everett e Michelle Pfeiffer interpretano Oberon e Titania nel 1999.

Partiamo dal titolo. Perché il sogno? Perché questo andirivieni di incantesimi e illusioni si svolge durante una notte di luna piena. I personaggi si addormentano e si risvegliano, parlano e pensano come in sogno, senza controllo. Inoltre, la superstizione voleva e vuole ancora che la notte di mezza estate, che noi chiamiamo la notte di San Giovanni (tra il 23 e il 24 giugno), sia una notte in cui gli incanti e gli effetti delle erbe siano più potenti.

Probabilmente “A midsummer night’s dream” fu scritta su commissione, per una festa di matrimonio, e in effetti la cornice di questa commedia è proprio una festa del genere, le nozze fra Teseo e Ippolita.

Il metateatro

Ho trovato molto interessanti i momenti metateatrali in cui, facendoci assistere alle prove di un gruppo di comici che deve esibirsi per questa festa di nozze, Shakespeare fa in modo che il teatro parli del teatro stesso e fa dell’ironia su alcune scelte di scena. Per esempio fa utilizzare un attore per impersonare un muro o calca la mano sulla differenza fra realtà e finzione con un effetto satirico, portando i suoi attori a contravvenire al principio teatrale dell’immedesimazione:

“Scrivetemi un prologo nel quale sia detto… che non faremo con le nostre spade male a nessuno e che Piramo non s’ammazzerà sul serio; e per rassicurare il pubblico anche di più, ditegli addirittura che io, Piramo, non sono Piramo, ma Bottom il tessitore: e nessuno avrà più paura”.

Lo stile

È originale il modo in cui il mondo del soprannaturale interagisce e crea complicazioni nel mondo dei viventi; qui, Shakespeare si ispira soprattutto ai fauni e alle ninfe della mitologia greca e le sostituisce alle fate cattive dell’era elisabettiana. Se si usufruisce del testo in lingua inglese sarà anche interessante notare come le battute cambino in base ai personaggi. I due sposi hanno il verso libero, le fate parlano in rima ma tornano al verso libero quando bisticciano, i comici usano la prosa e gli amanti i distici in rima. Questo e altri escamotage trasformano l’intera storia in una divertente e assurda parodia dell’amore.

Bibliografia: “Shakespeare – Tutto il teatro. Vol 2”. Grandi tascabili Economici Newton 1997, traduzione di Paola Ojetti”. Marina Spiazzi e Marina Tavella, “Only connect… – A History and Antology of English Literature”, seconda edizione, Zanichelli 2000.

Commenti