“La disperazione della vecchia”
La disperazione della vecchia, poemetto in prosa di Charles Baudelaire che si può leggere a pagina 20 dell’edizione pubblicata da Longanesi nel 1950, offre alcune interessanti considerazioni in materia di micro-narrativa.
La vecchietta grinzosa si rallegrò nel vedere il bel bambino a cui ognuno faceva festa, a cui ognuno voleva piacere; graziosa creatura, così fragile come lei, la vecchietta, e come lei, senza denti e senza capelli.
Ella gli si accostò, voleva vezzeggiarlo e farlo sorridere.
Ma il fanciullo, spaventato, si dibatteva sotto le carezze della buona donna decrepita, ed empiva la casa di strilli.Allora la buona vecchia si ritrasse nella sua solitudine eterna, e pianse in un angolo, dicendo tra sé: «Ah! Per noi, infelici vecchie femmine, passò l’età di piacere anche agli innocenti; e facciamo orrore ai fanciullini che si vorrebbe amare!»
Analisi del poemetto La disperazione della vecchia
Il primo ingannevole capoverso ci introduce in un’atmosfera allegra e spensierata. Lo testimonia la terminologia impiegata: si rallegrò, graziosa, festa, bel bambino. La protagonista cui si allude nel titolo viene indicata con un vezzeggiativo (vecchietta) che, unito al grinzosa, fa molta tenerezza e suscita una certa simpatia nei suoi confronti. Anche se il paragone insistito (come lei… e come lei) fra lei e il bel bambino va a suo discapito, dato che le caratteristiche tutto sommato positive nell’uno (fragile, senza denti e senza capelli) sono amaramente negative nell’altra.
Il tentativo della donna di rendere omaggio alla gioventù e alla bellezza del bambino viene frustrato dal piccolo stesso, che si ribella, dibattendosi spaventato sotto le carezze di quella che ora non è più una vecchietta grinzosa, bensì una buona donna addirittura decrepita, aggettivo che ne esagera l’età avanzata.
Nel terzo capoverso, l’iniziale atmosfera idilliaca è soltanto un ricordo. L’autore ci pone davanti la cruda realtà dei fatti. Quel buona vecchia ha un po’ il sapore della bonaria compassione che di solito si riserva a chi si ritiene inferiore. Tanto più che scopriamo essere la donna condannata a una solitudine eterna, che non è proprio cosa da niente.
Morale della favola
Al suo lamento è affidata l’amara “morale della favola”: le vecchie femmine (nemmeno più donne) sono tutte infelici e non piacciono più a nessuno. La vecchiaia fa orrore e spavento alla gioventù, che la respinge disgustata. La considerazione finale potrebbe anche nascondere – si fa per dire – una condanna morale: l’autore intende cioè colpire le donne che non hanno più l’età per amare ma insistono impudicamente nel tentare di circuire i giovani, rendendosi in tal modo ridicole agli occhi del mondo. Poi dicono che l’amore non ha età. Ce l’ha, ce l’ha.
[bs-white-space]