La politica giapponese
I giapponesi seguono una politica ben precisa, in materia di cartoni animati. Essendo molti attenti al proprio pubblico, non si muovono a casaccio: le caratteristiche di ogni serie (storie, design, orario di trasmissione) sono studiate in base all’età dei destinatari. Ciascuna fascia può contare su prodotti mirati.
Ci sono cartoni animati per i più piccoli, come ad esempio la storica Ape Maia o Hamtaro. Ce ne sono per adolescenti, cioè per ragazzi più grandi: le serie robotiche oppure fantascientifiche. Ce ne sono infine per adulti: questa categoria include anche gli hentai, di tipo erotico e pornografico. Un’ulteriore suddivisione prevede la realizzazione di serie per il pubblico maschile (gli shōnen) e per quello femminile (gli shōjo).
Una diversificazione ignorata
Nel nostro paese nessuno ha tenuto conto di questa diversificazione. I bambini si sono spesso dovuti sciroppare roba fatta apposta per gli adolescenti, e viceversa. Un cartone animato come Lady Georgie, che racconta la storia di una ragazzina piuttosto disinibita dal punto di vista sessuale, non è certo la più adatta per i più piccoli, ma nemmeno per i più grandi, dal momento che affronta tematiche molto delicate tipo incesto, droga e quant’altro. Tutta roba che non può essere compresa, né metabolizzata con tranquillità.
Se poi vogliamo aprire il capitolo della violenza, il discorso diventa ancora più chiaro. Diciamolo chiaro e tondo per non correre il rischio di equivocare: alcuni cartoni animati giapponesi sono violenti. Negarlo sarebbe sciocco e, forse, pure immorale. Questo, almeno all’inizio, ha sempre suscitato grandi polemiche da parte di genitori, educatori e insegnanti. Qualche politico è arrivato addirittura al punto di rivolgere al governo specifiche interpellanze parlamentari (come se in Italia non ci fossero problemi ben più seri già allora).
Alcuni esempi clamorosi di programmazione televisiva sbagliata dei cartoni giapponesi
Sarà il caso di ricorrere a un esempio ragionevolmente clamoroso. La Rai acquista dal Giappone la serie che vede quale protagonista il robottone Mazinga Zeta.
(Non non sarà male precisarlo fra parentesi: fa parte di una trilogia che prosegue con il Grande Mazinga e si conclude con Goldrake. L’elemento che funge da fil rouge narrativo è costituito dalla presenza di Koji Kabuto,da noi conosciuto come Ryo. Protagonista assoluto in Mazinga Zeta, diventa mera comparsa ne Il Grande Mazinga – si vede solo negli ultimi episodi della serie – e successivamente comprimario di lusso in Atlas Ufo Robot, dove assume il nome di Alcor. Gli spettatori italiani, però, non se ne sono accorti, dato che la nostra televisione ha trasmesso i tre cartoni animati a rovescio, partendo cioè dal fondo: prima Goldrake, poi il Grande Mazinga e infine Mazinga Zeta. Oltretutto cambiare i nomi dei personaggi ha contribuito non poco a intorbidare le acque).
La serie di Mazinga Zeta si compone di ben 92 episodi. La Rai, però, ne ha interrotto la messa in onda a quota 56, lasciando inedito il resto. Si è giustificata la sospensione adducendo una motivazione piuttosto debole: l’eccessiva violenza. È vero: questo cartone animato è violento (anche se si è visto di peggio), ma bastava guardarne appena dieci episodi per capirlo. Accorgersene dopo cinquantasei, è francamente ridicolo. E ipocrita. Sarebbe bastata un’occhiata preventiva. La serie non sarebbe stata acquistata, né trasmessa. E si sarebbero evitate tante polemiche inutili.
Il problema, insomma, non sta tanto nelle serie giapponesi in sé, quanto nella loro gestione da parte della televisione italiana, che le ha prese senza prima verificarne i contenuti. Anche se l’errore più grave è stato un altro: trasmetterle in una fascia oraria diversa da quella per cui sono state originariamente pensate. Se sai che davanti allo schermo ci sono dei bambini, forse dovresti evitare la programmazione di un cartone animato come Ken il guerriero, che si caratterizza per la presenza di elementi splatter.
È tutta una questione di programmazione. Sbagliata.