Vagare di passi e di pensieri

– Mettiamo le cose in chiaro: dove si va, lo decido io. Tu stai al mio fianco. Che non succeda come il solito, che sei tu a trascinare me.
Pretestuoso stabilire regole: serve solo a darmi un certo tono, ad accaparrarmi un minimo di dignità.
Lui ascolta, orecchie tese, quindi, per rendere più teatrale la sua approvazione, inclina la testa mostrando quegli occhi languidi che ti suggeriscono la parola “fiducia”. Figuriamoci se gli credo.
Dopodiché offre il testone per farsi mettere il guinzaglio.

Mi sento di contraddire chi afferma che, per addestrare un cane, ci voglia all’incirca un annetto. Il nostro ha dimostrato una prontezza non comune. In circa tre mesi l’ammaestramento è stato completato. Nel senso che Pongo ha addestrato bene noi. Abbiamo appreso le esigenze (sue), cambiando le abitudini (nostre).
Automatico alzarmi quando è ancora buio pesto, per spodestarlo dolcemente dalla cuccia (interna alla casa) in modo che, mentre si prende tutto il suo tempo alla ricerca della pianta che lo invoglierà alla prima pipì del giorno, io abbia l’opportunità di testare la temperatura invernale (esterna).
Poco dopo, si può vedere l’uomo di casa intento nella preparazione della pappona quotidiana in cui vengono vagliati proteine, carboidrati e vitamine, in mezzo ad un’intera batteria da cucina, convertita ad uso del cane. Il tutto con impegno zelante, neanche stesse dando una mano a Cracco.
Il pomeriggio Pongo viene accaparrato dai nipoti che se lo portano a casa loro. Appena li vede, dal dorso alle zampe è tutto un fremito, con la coda che spazza l’aria in modo tale che potrebbe azionare un generatore di corrente.

Ruffiano oltre ogni limite, integrato nei tempi attuali; definiamolo, senza ombra di dubbio, un populista.
E’ palese che voglia accattivarsi il favore della gente: adulazioni a chi rientra nel cerchio parentale, ma anche a chi ne è fuori. Bavoso verso chiunque, anche nei confronti di chi a lui non dà niente. Con la fiducia che, leccata oggi e leccata domani, se ancora non ha dato, prima o poi darà.

Si parte dunque, lungo il percorso che la consuetudine fa sentire nostro e che offre al suo olfatto un’infinità di scoperte, le orecchie pronte a catturare il minimo rumore. Da un lato la piattaforma della campagna che si sbilancia alla nostra sinistra con i pendii dei vigneti. A destra il fiume, dove il sole di questa giornata invernale si riflette sulle acque tremule: la calma delle leggere increspature influisce sui miei passi, rivendica un ritmo lento e cadenzato. Addolcisce i pensieri.

Quasi quasi lo libero. Cosa mai potrebbe succedere? Fin dove lo sguardo arriva, non c’è anima vivente. Parte come una scheggia, la testa rivolta a terra, attirato da chissà che cosa. Con i suoi balzi repentini e il continuo cambio di traiettoria, mi fa ricordare la pallina dei vecchi flipper.
Il mio sguardo invece, come orientato da un campo magnetico, si solleva, fermandosi là, sulla linea dell’orizzonte dove si profila la chiesetta che spezza la lieve ondulazione della collina in lontananza. Avrà il suo momento di gloria all’ora del tramonto, arrogandosi, con la sua posizione, il ruolo di dispensatrice delle varie sfumature di rosso e arancione, che si sparpaglieranno in aloni di rosa e di violetto.

Improvvisamente, a qualche decina di metri, due aironi, uno bianco ed uno cinerino, si sollevano e si librano in volo. Da calato nelle accanite perlustrazioni terrestri, lo sguardo di Pongo si eleva, seguendo tanta invidiabile, elegante signorilità. Quindi sguinzaglia arti anteriori e posteriori, pensando, chissà, di misurarsi anche con gli spazi celesti. Poco dopo, sconfortato demorde, ma si consola con la zampa alzata sull’argine, forse illudendosi di dare il proprio contributo alle acque sonnolente del fiume.

Proprio nel punto in cui la stradina, assecondando il corso d’acqua, curva delicatamente, mi trovo davanti un camminatore. Pongo appare così gioiosamente concentrato su un cumulo di terra, annusando e scavando, che quasi quasi rischio: non gli rimetto il guinzaglio.
No, lo sventurato si ferma.

– Ma che splendido cane.
Non faccio in tempo a bloccarlo che gli è addosso: quando mai si è mostrato indifferente di fronte al genere umano? É un attimo: le zampe anteriori poggiate sulle spalle del poveretto, quindi, come se la rapida confidenza stabilita non gli sembrasse sufficiente, comincia a leccargli la guancia. Immobilità del malcapitato. Ammetto, la tentazione di fingere di non conoscere l’animale si fa strada, ma gli indizi non aiutano: il fatto che ci siamo solo io e Pongo nell’arco della sterminata campagna, fanno sospettare che tra noi due ci sia qualcosa.
Provare con: – Non si preoccupi: fa sempre così- suonerebbe contro di me. Perché non avrei dovuto provvedere prima?
– Strano, non lo fa mai – risulterebbe decisamente artificioso.
– E’ un giocherellone – mi ricorda chi difende la prole anche se ha appena devastato una casa.
Meglio chiudere in fretta la faccenda; mi allontano, il cane mi segue. Lo sgrido, blandamente però. Mi guarda con espressione interrogativa, già pronto ad immolarsi al guinzaglio, come penitenza.
– No, non te lo metterò. Vai Pongo, tu che sei temporaneamente libero. Noi non possiamo sottrarci ai lacci invisibili con cui questo tempo malevolo, imprevisto ed assurdo ci ha imbrigliato, ci fa allontanare di fronte ad ogni essere umano, ci fa sentire funamboli in un tempo sospeso. Non ce l’ha fatta però a sequestrare le nostre emozioni. Perciò qui, quello che conta ora sono solo i passi, accompagnati da quiete sensazioni, lasciando che i pensieri vadano e vengano nel sottofondo.

Nel tuo indisciplinato vagare, goditi completa la tua libertà, Pongo. Forse verrà il tempo, anche per noi.

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