“A volte la magia funziona” – Terry Brooks


Voto: / 5

“A volte la magia funziona” (Milano, Mondadori 2003) è l’unico libro di Terry Brooks che possiedo e che ho letto. Perché a me il fantasy non piace molto. È un genere letterario che frequento pochissimo, e limitatamente ad alcuni autori. Fra loro c’è Neil Gaiman. La sua scrittura mi piace molto perché non sembra fantasy. Lo scrive come se fosse un genere diverso. Per questo mi piace.


Sono poco fantasy…oso

Ma allora come mai ho quel libro di Terry Brooks?

Sostanzialmente per due motivi. Il primo è che si tratta di un saggio e non di un romanzo. Il secondo è che mi è stato regalato anni fa a Natale. O per un mio compleanno. Vai a ricordarti, se sei capace.

Un manuale che non è un manuale

Il sottotitolo del volume è “Lezioni da una vita di scrittura”.

Sebbene sia meno corposo rispetto a “On writing” di Stephen King, si mantiene nei paraggi. Perché anche in questo caso uno scrittore affermato di un genere non mainstream sceglie di aprire il proprio laboratorio al lettore. Raccontando sostanzialmente se stesso. E il proprio lavoro.

Si parte con il capitolo “Non ci sono con la testa”. Perché secondo Terry Brooks le cose stanno proprio così:

Gli scrittori non ci sono con la testa, perché una parte di loro è sempre altrove, e con “altrove” intendo il mondo di cui scrivono in quel momento. Gli scrittori vivono in due mondi. Il mondo reale degli amici e dei famigliari e il mondo immaginario dei loro romanzi.

Per il resto, gli argomenti tratti nel saggio sono applicabili a qualsiasi genere letterario, non esclusivamente al fantasy.

Perché la scrittura è scrittura.

Le tematiche di A volte la magia funziona

I vari capitoli del libro affrontano questioni abbastanza comuni a chi scrive.

Si parla infatti di fortuna, che ha una parte importante nella pubblicazione di un libro. Terry Brooks se ne serve per raccontare i propri esordi nel campo del fantasy.

Non mancano le domande classiche rivolte agli scrittori di qualunque tipo durante interviste o presentazioni: “Perché scrivo” e “Ma dove prende le idee?”

Scrivere è come una droga: dà dipendenza. Comporta sempre una sfida e si finisce per accettarla. Si finisce per farsi incantare dalle parole e dai personaggi da noi stessi creati. Le parole sono la nostra casa.

C’è anche un capitolo sulle influenze (“Influenze”, appunto). Uno riguardante quello che si può definire il progetto (“Il progetto”). E due riguardanti il cosiddetto schema: “S come schema” e “Un tempo per sognare”.

Le idee non spuntano come funghi. Non le trovi in un catalogo o nelle pagine gialle. Non arrivano opportunamente in sogno. (Be’, magari di tanto in tanto ne arriva qualcuna, ma non vorrei dovermi affidare ai sogni per rispettare i tempi di consegna).

Poi c’è anche molto altro, nonostante le pagine siano soltanto 146. Non resta che leggere il libro, per sapere di che si tratta.

Io inizio pensando a ciò che voglio scrivere: intreccio, personaggi, ambientazione, colore emotivo, ritmo, punti di vista, svolte e cambiamenti di direzione dell’intreccio, struttura tematica e tutto ciò che ha a che fare con la storia.

Di solito funziona così.

E funziona davvero.

 

Terry Brooks, “A volte la magia funziona”, Milano, Mondadori, 2003.

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