Carlos Ruiz Zafón scrisse il romanzo “Le luci di settembre” nel 1995 ma è uscito in Italia nel maggio 2011 per Mondadori in seguito alla revisione dell’autore effettuata nel 2007. Fa parte della “Trilogia della nebbia” insieme a “Il principe della nebbia” e “Il palazzo di mezzanotte”. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “La città di vapore”, “L’ombra del vento” e “Il labirinto degli spiriti”.
Trama de Le luci di settembre
Le vicende si svolgono nella Francia del 1937. Irene e Dorian sono due adolescenti che si trovano a vivere insieme alla madre Simone nella ricca casa di un proprietario di giocattoli, Lazarus Jann. Alcune stanze sono popolate da automi inquietanti.
Accadono troppe cose strane, troppi misteri. Bambini scomparsi nel nulla, morti tragiche, tragici amori. Ma, si sa, “nessuno si salva da solo”.
Recensione
Non ricordavo di aver letto questo libro, l’ho ripescato per una challenge di lettura e mi ha dato l’occasione di riconsiderare il mio scaffale dedicato a Zafón. Dopo aver letto e apprezzato “Il gioco dell’angelo” (che mi ha dato incubi notturni) e “L’ombra del vento” a suo tempo ho comprato altri due libri, suoi. Non essendo il nostro eroe un autore di pamphlet, il risultato era che aveva un certo ingombro, nella mia libreria.
Ascoltando l’audiolettura de “Le luci di settembre” mi sono chiesta se fosse il caso di trattenere in casa tutto questo Zafón. Sono libri che rileggerei? Un intrattenimento che gradirei di nuovo? Me lo sono chiesta durante tutto il libro.
Alla fine mi sono detta che non sono abituata ai romanzi dell’orrore. O meglio, trattandosi di un orrore soft e trattandosi di protagonisti adolescenti, non mi ha coinvolta completamente.
“Nessuno sa quando fu costruita, né chi la costruì e perché. Ma quando questa casa mi parla, io ascolto”
Zafón ha un discreto potere visivo e uno stile scorrevole; a immedesimarsi, gli episodi paurosi possono, sì, fare paura. Possono tenere incollati alla lettura, grazie a un rapido movimento delle scene, sempre più incalzanti verso la fine. Tutto questo l’ho apprezzato. Ma ho capito di non essere io il target.
Allora ho liberato il mio scaffale e ho riempito di Zafón quello di mio figlio, per quando sarà più grande.