“Berta Isla” – Javier Marías


Voto: 5 stelle / 5

“Berta Isla” è un romanzo di Javier Marías scritto nel 2017 e pubblicato un anno dopo in Italia da Einaudi, nella traduzione di Maria Nicola. Ho letto questo libro, che mi aspettava da alcuni anni nella mia libreria, perché scelto dal gruppo di lettura “Sulla traccia di Angela” della biblioteca di Pescara “Di Giampaolo” per il mese di ottobre.

Trama di Berta Isla

Berta Isla e Tomás Nevinson è una coppia che si è formata in adolescenza e che viene segnata da un cambio di rotta. Lui è costretto a entrare nei servizi segreti, ma ufficialmente lavora per l’ambasciata spagnola a Londra. Accade che sparisca per intere settimane, interi mesi, durante i quali non può contattare nemmeno la moglie, nonostante abbiano due bambini piccoli.

“Si sarebbe abbattuto su di lui tutto l’odio concreto e quello astratto, e il più feroce, l’odio degli ingannati”

A un certo punto, Tomás non torna. Non si sa nemmeno se è vivo o morto. Come può Berta Isla condurre una vita così in sospeso?

Recensione

Quando ho chiuso il libro mi sono sentita come la donna della copertina, fotografata da Quentin de Briey: avvolta nel fumo. In un primo momento mi sono chiesta: sì, ma allora? Cosa ho imparato, cosa ho ricevuto da questo libro?

Sicuramente un libro sull’attesa e su un rapporto simile a Ulisse e Penelope – per cui, devo dirlo, nutro una vera e propria idiosincrasia – non può lasciare un’impressione molto diversa.

La trama è insieme esile e pesante: un uomo, un segreto, l’oscurità. Un’intera vita spesa nell’inganno verso gli altri e insieme persa, ingannati a propria volta.

Detta così è interessante, vero?

“Quello che è successo un momento fa ma non sta più succedendo smette di attirare l’attenzione, la gente bada a quello che viene dopo, qualunque cosa stia per avvenire o avvenga, basta che contenga un’incognita o non se ne preveda ancora un finale, in fondo quello che si vuole è vivere in modo vicario nell’instabilità perenne e sotto costante minaccia, o almeno nella consapevolezza che altri in qualche punto del globo stanno peggio di noi, altri che ci ricordano quanti pericoli sono sempre in agguato là fuori.”

Il punto è che quando si ama un autore e si è abituati alle sue rivelazioni e alle sue stilettate, l’aspettativa nei suoi confronti si alza. Le considerazioni che ho trovato nel corso di “Berta Isla” mi sono sembrate molto generiche. Alcune mi sono sembrate addirittura banali, già lette, già pensate. Ho fatto diverse piegature, ma alla fine dei giochi il passaggio che più mi ha colpito non è di Marías bensì di Charles Dickens!

Questo mi è dispiaciuto, perché ho sentito parlare in maniera entusiasta di questo libro ed evidentemente mi sono persa qualcosa.

Il romanzo procede tra citazioni culturali e letterarie: in primis William Shakespeare, come consuetudine di Marías, che stavolta sceglie il dramma “Enrico V”, e poi molto Thomas Stearns Eliot.

“Un altro degli inconvenienti dei morti che non lasciano corpo né tracce è che il dolore arriva per fasi, non è mai tutt’intero, è graduale, e non c’è mai un lutto vero e lo si attraversa con esitazioni e a tappe”

L’indefinitezza della sorte di Tomás Nevinson non aiuta né sua moglie noi a sostenere il peso della sua assenza. Avere un punto di vista parziale della vicenda per la maggior parte del tempo ci costringe ad accettare l’inconoscibile – come d’altra parte avviene nella realtà – e questo non sempre è sopportabile.

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