“Cento sonetti d´amore” è il libro che sigilla e consacra l’unione indissolubile tra il poeta Pablo Neruda e la sua terza moglie Matilde Urrutia.
Lui cileno, lei messicana;
lui poeta e politico, lei cantante;
incontratisi per caso, per non lasciarsi mai più.
Entrambi figli dell’America latina, nei quasi 40 anni di vita insieme, si scambiarono un nutrito carteggio epistolare che testimonia il legame profondo che li univa.
Ma è nei sonetti che Neruda dedica a Matilde che l’amore diventa poesia, che il continuo tormento del poeta diventa gioia nell’offrire alla donna amata tutto il suo amore trasformato in parola, come si legge nella splendida dedica:
A Matilde Urrutia
Signora mia molto amata, grande sofferenza
provai scrivendoti questi mal chiamati sonetti
e troppo mi dolsero e costarono, ma la
gioia di offrirteli è maggiore di una
prateria. Proponendomelo ben sapevo che
al fianco di ognuno, per affezione elettiva
ed eleganza, i poeti di ogni tempo
disposero rime che suonarono come argenteria,
cristallo o cannonata. Io, con molta umiltà
feci questi sonetti di legno, gli diedi il suono
di questa opaca e pura sostanza e così devono
giungere alle tue orecchie. Tu e io camminando per
boschi e arenili, per laghi perduti, per
cineree latitudini, raccogliemmo frammenti di
legno puro, di legni sottoposti al va e vieni del-
l’acqua e dell’intemperie. Da tali levigatissime
vestigia costruii con accetta, coltello, temperino,
queste legnamerie d’amore ed edificai piccole
case di quattordici tavole perché in esse vivano
i tuoi occhi che adoro e canto. Così stabilite
le mie ragioni d’amore ti affido questa centuria:
sonetti di legno che solo s’innalzarono
perché tu gli desti la vita.
La raccolta di Cento sonetti d’amore
Cento sonetti d’amore può essere considerata una delle più belle raccolte di poesie d’amore in assoluto. Racchiude tra l’altro alcune delle poesie più belle di Neruda.
La raccolta si divide in tre parti: il mattino, dove l’amore è cantato in modo dolce, quasi romantico;
il mezzogiorno dove invece traspaiono tutta la passione e il fuoco delle poesia di Neruda e infine la sera, dove a tratti si svela la malinconia, il timore della morte come separazione.
Tanto grande, coinvolgente e totale è il sentimento del poeta, dall’associare Matilde agli aspetti più belli della natura, tanto grande è il suo amore da sembrare che senza la sua Signora niente possa avere vita.
Ogni aspetto di lei viene cantato, a partire dal suo nome:
Matilde, nome di pianta o di pietra, o di vino,
di ciò che nasce dalla terra e dura,
parola nel cui aumento albeggia,
nella cui estate scoppia la luce dei limoni.
In questo nome crescon navigli di legno
circondati da sciami di fuoco azzurro marino,
e quelle lettere sono l’acqua d’un fiume
che sfocia nel mio cuore calcinato.
Oh nome scoperto sotto un rampicante
come la porta d’una galleria sconosciuta
che comunica con la fragranza del mondo!
Oh invadimi con la tua bocca bruciante,
indagami, se vuoi, coi tuoi occhi notturni,
ma lasciami nel tuo nome navigare e dormire.
Alcuni sonetti nascono dal ricordo di attimi vissuti, come loro celebrazione, come se il fuoco della poesia li rendesse infiniti:
Ricorderai quel ruscello capriccioso
dove s’arrampicarono gli aromi palpitanti,
di tanto in tanto un uccello vestito
d’acqua e di lentezza: vestito d’inverno.
Ricorderai i doni della terra:
irascibile fragranza, fango d’oro,
erbe del cespuglio, pazze radici,
sortileghe spine come spade.
Ricorderai il mazzo che recasti,
mazzo d’ombra e d’acqua con silenzio,
mazzo come una pietra con schiuma.
Quella volta fu come mai e come sempre:
andiamo lì dove nulla v’è che attenda
e troviamo tutto ciò che sta attendendo.
Alcuni sonetti sono quadri dipinti a parole dove il poeta descrive i suoi sentimenti in maniera dolce, delicata, parlando con tenerezza di qualcosa che ai suoi occhi non ha paragoni se non quelli verso le cose più belle.
Se non fosse perché i tuoi occhi hanno color di luna,
di giorno con argilla, con lavoro, con fuoco,
e tieni imprigionata l’agilità dell’aria,
se non fosse perché sei una settimana d’ambra,
se non fosse perché sei il momento giallo
in cui l’autunno sale su pei rampicanti
e anche sei il pane che la luna fragrante
elabora passeggiando la sua farina pel cielo,
oh, adorata, io non t’amerei!
Nel tuo abbraccio io abbraccio ciò ch’esiste,
l’arena, il tempo, l’albero della pioggia,
e tutto vive perché io viva:
senz’andare sì lungi posso veder tutto:
Vedo nella tua vita tutto ciò che vive.
Altri sonetti sono la pura esaltazione della bellezza di Matilde:
Donna completa, mela carnale, luna calda,
denso aroma d’alghe, fango e luce pestati,
quale oscura chiarità s’apre tra le tue colonne?
Quale antica notte tocca l’uomo con i suoi sensi?
Ahi, amare è un viaggio con acqua e con stelle,
con aria soffocata e brusche tempeste di farina:
amare è un combattimento di lampi
e due corpi da un solo miele sconfitti.
Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito, ,
i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi villaggi minuscoli,
e il fuoco genitale trasformato in delizia
corre per i sottili cammini del sangue
fino a precipitarsi come un garofano notturno,
fino a essere e non essere che un lampo nell’ombra.
Altri sono continue dichiarazioni d´amore:
Amo il pezzo di terra che tu sei,
perché delle praterie planetarie
altra stella non ho. Tu ripeti
la moltiplicazione dell’universo.
I tuoi grandi occhi son la luce che posseggo
delle costellazioni sconfitte,
la tua pelle palpita come le strade
che percorre la meteora nella pioggia.
Di tanta luna furon per me i tuoi fianchi,
di tutto il sole la tua bocca profonda e la sua delizia,
di tanta luce ardente come miele nell’ombra
il tuo cuore arso da lunghi raggi rossi,
e così percorro il fuoco della tua forma baciandoti,
piccola e planetaria, colomba e geografia.
Prima d’amarti, amore, nulla era mio:
vacillai per le strade e per le cose:
nulla contava né aveva nome:
il mondo era dell’aria che attendeva.
Io conobbi cinerei saloni,
gallerie abitate dalla luna,
hangars crudeli che s’accommiatavano,
domande che insistevan sull’arena.
Tutto era vuoto, morto e muto,
caduto, abbandonato e decaduto,
tutto era inalienabilmente estraneo,
tutto era degli altri e di nessuno,
finché la tua bellezza e povertà
empirono l’autunno di regali.
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
Altre poesie sono la celebrazione di un´unione indissolubile:
Ormai sei mia. Riposa col tuo sonno nel mio sonno.
Amore, dolore, affanni, ora devono dormire.
Gira la notte sulle sue ruote invisibili
e presso me sei pura come l’ambra addormentata.
Nessuna più, amore, dormirà con i miei sogni.
Andrai, andremo insieme per le acque del tempo.
Nessuna viaggerà per l’ombra con me,
solo tu, sempre viva, sempre sole, sempre luna.
Già le tue mani aprirono i pugni delicati
e lasciarono cadere dolci segni senza rotta,
i tuoi occhi si chiusero come due ali grige,
mentr’io seguo l’acqua che porti e che mi porta:
la notte, il mondo, il vento dipanano il loro destino,
e senza te ormai non sono che il tuo sogno.
E gli ultimi sonetti sono quasi un testamento, la testimonianza di un immenso amore da lasciare ai posteri:
Chi s’amò come noi? Cerchiamo
le antiche ceneri del cuore bruciato
e lì cadano a uno a uno i nostri baci
finché risusciti il fiore disabitato.
Amiamo l’amore che consumò il suo frutto
e discese nella terra con volto e potere:
tu e io siamo la luce che continua,
la sua infrangibile spiga delicata.
All’amore sepolto da tanto tempo freddo,
da neve e primavera, da oblio e autunno,
avviciniamo la luce d’una nuova mela,
della freschezza aperta da una nuova ferita,
come l’amore antico che cammina in silenzio
per un’eternità di bocche sotterrate.
I “Cento sonetti d’amore” cantano l´amore di una vita e una vita d´amore.
Lettura delle poesie d’amore di Neruda
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