Un attore finge, per mestiere o per vocazione, d’essere chi non è. Forse è per questo che Nicolò Sordo – vedi caso, attore – si è nascosto dietro lo pseudonimo di Niki Neve per scrivere i quaranta racconti della raccolta Col Angeles (Jago Edizioni 2022). E qui è doveroso un grazie alla casa editrice per la copia cartacea in omaggio.
Un libro… dedicato
Sono rimasto colpito dalla prima frase della dedica: «Se c’è ancora qualcuno che legga per il gusto di leggere». Il che fa pensare a un libro mirato, con destinatari ben precisi. Parlo di chi, come dice l’autore, legge per il puro gusto di farlo. Perché alla base della raccolta ci sono il desiderio, il gusto, la necessità di leggere e di raccontare storie. L’autore stesso afferma: «Ho sempre tenuto alle storie più che a tutto il resto».
Un’esigenza, oltretutto, ribadita da Nicolò Sordo verso la fine del volume:
Che ci crediate o no, l’80% delle cose che scrivo è vero e i personaggi in realtà sono persone sotto falso nome, perché per me vale il segreto professionale come se fossi un prete.
Mi piacciono molto le persone e mi piacciono le loro storie e quello che hanno da dire.
Inevitabile che, in quanto lettore, io mi sentissi chiamato in causa.
Strana la città, strani gli abitanti
Una donna che ha completamente perso la testa. Un camionista che si porta appresso il nome di un pittore francese. Un giardiniere ben dotato con la passione sfrenata per le donne. Un attore professionista che «odia tutti e non passa quasi mai i provini». Una ragazza che detesta tutto ciò che rientra sotto la categoria del mainstream. Un prete esorcista cui è stato dato il nome di famoso serial killer cinematografico.
Questi sono soltanto alcuni dei personaggi surreali che si muovono nella surreale città di Col Angeles, così descritta dall’autore:
(…) questo paese così piccolo e senza un cazzo che è una roba da spararsi, proprio come Kurt [Cobain] nella vasca.
Lo chiamano Col Angeles perché è un paese sulle colline con il lago sotto. Tipo Beverly Hills con Los Angeles.
Le quaranta storie, anch’esse surreali, ambientate in questa città − cui è stato necessario dare un nome “esotico”, sulla base di un’analogia trascurabilissima, per darle importanza e renderla in tal modo qualcosa di più di un «paese così piccolo e senza un cazzo che è una roba da spararsi» − sono tutte brevi, anzi brevissime. E si leggono tutte d’un fiato, affidate come sono a poche, veloci annotazioni. La narrazione procede per immagini, con una cadenza che ha del cinematografico.Col Angeles potrebbe essere un buon segno. Editori e autori mostrano – almeno io credo – la confortante tendenza a riscoprire il cosiddetto “racconto breve”. Speriamo continuino per questa strada. Io ci conto, eh.