“Favole a orologeria” – Ambrose Bierce

In uno dei miei soliti giri a caccia di libri che non ho e che mi sussurrano di acquistarli, ho scoperto una cosa di Ambrose Bierce che non sapevo. Ha scritto delle “Favole a orologeria”, pubblicate nel 2003 da Fabbri Editore in un volumetto dall’aspetto piuttosto elegante. Le pagine non sono molte e le favole scorrono via velocemente. Ho deciso di analizzarne, seppur velocemente, due.


Trama di Favole a orologeria

favole-a-orologeria-copertinaCurioso scrittore, Ambrose Bierce. Non tanto e non solo per il genere di racconti che ha scritto − per lo più ascrivibili al genere fantastico − quanto per il fitto mistero che circonda la sua scomparsa.

Non si riesce a capire che fine abbia fatto. Pare svanito nel nulla. Una risposta all’enigma ha cercato di darla nel 1989 il regista Luis Puenzo con la sua pellicola Old Gringo. (Fra parentesi: la parte dell’autore americano è stata affidata a Gregory Peck, affiancato da Jane Fonda e Jimmy Smits).

Se posso dire la mia: non è stata molto convincente, come soluzione. Il film, però, non è male.

Analisi

La prima favola s’intitola “L’arbitro disinteressato” ed è a pagina 68.

Due Cani che avevano lottato per un osso senza vantaggio per nessuno, riferirono la loro disputa a una Pecora. La Pecora ascoltò pazientemente le loro dichiarazioni, poi scaraventò l’osso in uno stagno
«Perché l’hai fatto?» dissero i Cani.
«Perché», rispose la Pecora, «sono vegetariana».

A prima vista, la struttura è quella tradizionale. Sembra, cioè, una di quelle favole che scrivevano Esopo e Fedro.

Perché ci sono degli animali parlanti (curiosamente designati dall’autore con le iniziali maiuscole) che replicano i difetti e i vizi degli esseri umani. E c’è una situazione classica: due animali della stessa specie si stanno disputando del cibo. Siccome non riescono a venire a capo di nulla, si rivolgono a un altro animal.

Ed ecco la prima stranezza. Di solito, nelle favole, il ruolo di giudice viene affidato a un animale la cui autorevolezza deriva da una grande saggezza o da una grande forza. Ma qui ci troviamo davanti a una pecora, che non è proverbialmente saggia, né forte. Anzi, viene spesso descritta come una creatura pavida, o, meglio ancora, come una vittima predestinata.

La seconda stranezza è costituita dalla decisione della pecora. Che si disinteressa completamente delle esigenze espresse dai due cani e ragiona in base alla propria testa. Butta via l’osso perché a lei non interessa. È vegetariana.

In questo modo, Bierce è riuscito a spiazzare il lettore. Porta infatti la vicenda su un binario del tutto inaspettato e contrario alla logica di quella che sembrava essere una favola tradizionale.

La seconda favola s’intitola “Cane e riflesso”, ed è a pagina 92.

Un Cane che passava lungo la riva di un fiume vide la sua immagine riflessa nell’acqua.
«Brutto insolente!» gridò; «come osi guardarmi in quel modo?»
Si avventò, e credendo di addentare il muso dell’altro cane, tirò fuori dall’acqua un bel pezzo di carne che il garzone del macellaio aveva sbadatamente lasciato cadere in acqua.

Questa situazione è ancora più eccentrica rispetto a quella della favola precedente.

Abbiamo un cane – anche qui viene utilizzata l’iniziale maiuscola – che non brilla particolarmente per intelligenza. Vede il proprio riflesso in acqua e non si riconosce. Ma questo non è così strano. Anche nel mondo reale un animale che si vede allo specchio o sulla superficie dell’acqua non sa di veder se stesso.

A me sembra che qui Bierce si rifaccia alla leggenda di Narciso, uomo bellissimo che, vedendosi riflesso in uno stagno, non riconoscendosi, s’innamora del suo alter ego e affoga perché si butta in acqua per abbracciarlo.

Ora, la tradizione vuole che un essere umano e un animale, posti di fronte alla propria immagine riflessa, vadano incontro a un tragico destino. Di solito, insomma, muoiono.

Ma Bierce non è uno scrittore tradizionale. Ribalta tutto premiando la stupidità del cane, che invece di annegare si porta a casa un bel pezzo di carne, perduto da un garzone che si rivela forse più stupido di lui.

Un favolista eccentrico

Le favole contenute in “Favole a orologeria” sono quasi tutte così. Fanno eccezione quelle che io definirei astratte perché si servono di allegorie moderne, e quelle ambientate nella società del tempo in cui è vissuto l’autore.

In tutti e tre i tipi di favola, la tradizione viene utilizzata unicamente come base di partenza. È un po’ come quando a un film western o di cappa e spada vengono applicati i principi della pellicola d’azione. Ne viene fuori qualcosa di diverso.

Ambrose Bierce, poi, si diverte a rovesciare le tecniche e i contenuti del genere favolistico, versandovi sopra l’acido corrosivo della propria ironia. Il risultato è una raccolta di favole sicuramente eccentriche ma godibilissime.

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