“Febbre” è un romanzo del 2019, edito da Fandango, scritto dall’autore esordiente Jonathan Bazzi e finalista al premio Strega 2020.
Trama di Febbre
Rozzano, periferia milanese. L’autore ripercorre la sua difficile infanzia di figlio nato “per caso” da una coppia di ragazzi male assemblati che Jonathan tiene insieme fin quando le divergenze tra i due non prendono il sopravvento. Jonathan cresce con i nonni mentre la madre lavora e il padre sparisce. E’ un bambino diverso, preferisce la compagnia delle bambine, mentre i bambini lo prendono continuamente in giro.
L’adolescenza è per lui un momento ancora più difficile di quanto già non sia: l’autore racconta le sue prime esperienze con uomini conosciuti nelle chat gay alla ricerca dell’amore sconfinato che non ha mai conosciuto. Racconta di sua madre e del suo compagno violento, di un padre incapace di essere padre, la scoperta della sua sieropositività, la causa di quella febbre che non lo lascia più, ma a questo punto Jonathan ha finalmente un vero uomo accanto a sostenerlo.
Recensione
La scrittura di Jonathan Bazzi non mi ha entusiasmata particolarmente, usa un tono molto colloquiale che mette a proprio agio il lettore. In qualche modo il linguaggio semplice, che pure rende il romanzo molto scorrevole, me lo hanno tenuto un po’ distante.
La musicalità del romanzo è data, inoltre, dalla doppia narrazione: si alternano capitoli al presente e capitoli in cui Bazzi ricostruisce la sua infanzia e ogni capitolo si interrompe in un punto cruciale, in cui la curiosità è alle stelle.
Certo ogni encomio possibile va a Bazzi per la sua capacità introspettiva, per il suo sapersi mettere a nudo, raccontando senza veli la sua omosessualità fregandosene di quella parte di mondo che non smetterà mai di condannarla: “Febbre” si erge a manifesto dell’omosessualità. Jonathan è un modello per chi non riesce a trovare il suo riscatto, dimostra che è possibile nascere in un quartiere malfamato, crescere senza un padre, essere omosessuale e trovare comunque il proprio posto nel mondo. Jonathan è riuscito a rendere trofei le sue cicatrici, a mutare in bellezza tutto il suo dolore.
non conoscevo minimamente jonathan bazzi prima di leggere questo suo primo libro. la sua scrittura è la cosa che mi ha colpito di più. ho trovato significative le sue stilettate, che sembrano sfiorare l’autolesionismo, un volersi far male nel guardare in faccia la realtà.
l’unica cosa che mi ha lasciata perplessa è il carattere fortemente esplicito, in termini sessuali, che assume la seconda parte, quasi un volerci costringere a guardare, “visto che siete qui perché volete guardare”.
non sono abituata a questo genere di narrativa e quindi non me lo aspettavo e l’ho trovato quasi disturbante, in quel momento. è stato l’unico ostacolo alle cinque stelle, infatti ne darei quattro.