“Gente del Sud” – Raffaello Mastrolonardo


Voto: 5 stelle / 5

Un viaggio lungo un secolo. Storia della famiglia Parlante. In “Gente del Sud” (Tea 2020) si intrecciano le storie di ogni membro della famiglia e di tutte le persone che vi hanno gravitato intorno. Una saga famigliare raccontata attraverso epidemie, guerre, riprese economiche, vertiginose cadute, gioie e drammi umani. Il tutto storicamente contestualizzato e coerente con il periodo.

Recensione di Gente del Sud

In “Gente del Sud” viene raccontata la trincea durante “la Grande Guerra”. Significa guardare ogni giorno la morte in faccia, farla franca per un pelo e realizzare che anche il soldato nemico soffre la fame e il freddo: anche il soldato nemico vive sospeso, ha paura del buio e con il corpo dilaniato muore implorando il colpo di grazia e chiamando la mamma. E il triste ricordo che come un marchio a fuoco, una ferita mai rimarginata, essa lasciò nel cuore di Cipriano Parlante.

”Rivedeva di continuo in mille frammenti le scene di quella giornata in cui si era trovato, per la prima volta, faccia a faccia con la morte. Un turbine folle d’immagini mescolate: il volto di quel ragazzo l’ossessionava, deformato dal dolore mentre lui gli piantava la baionetta nel ventre. E il camerata che correva al suo fianco, di cui aveva visto la faccia esplodere in una grottesca maschera di sangue. Gli austriaci cadere falciati a centinaia, il fischio del contrattacco, la loro corsa, il nemico arrendersi, Angiolino urlare parole sconnesse.”

Di ogni personaggio emerge l’umanità, intesa come gamma di sentimenti. Emozioni a tratti contrastanti e declinate in ogni sfumatura di colore, colpiscono il lettore per la loro forza, rendendo il romanzo molto accattivante.

Ho sorriso all’episodio del “ciuccio di Minguccio”. Il povero ignaro animale prestato da Minguccio a Cipriano. Per far dispetto all’insegnante che lo aveva definito “ciuccio” appunto, Cipriano decise di portarlo a scuola con sé. 
Risultato: “il ciuccio di Minguccio“ fu l’unico somaro ad aver varcato nella vita la soglia di una scuola, mentre Cipriano ne fu cacciato!
Così atti poco ponderati perché inesperienza e giovane età ne impediscono l’esatta valutazione,risuonano per tutta la vita velandola di rimpianto e di amarezza.

”Così per pomeriggi interi si era incaponito a tentare di scrivere un discorso coerente e con tutti i congiuntivi, che erano sempre stati suoi nemici, al posto giusto. Ma proprio non gli riusciva: bestemmiava Minguccio e il suo ciuccio e se stesso per quanto fosse stato idiota a non studiare. «Prima o poi arriva il momento di pagà il conto», si diceva, «e più tempo passa più è caro!» “

Ancora sorridere seppure molto amaramente l’episodio del nome che per sbaglio e per ignoranza soprattutto, fu attribuito dal buon Angiolino a suo figlio. Preso alla sprovvista e incalzato dall’impiegato dell’anagrafe che chiedeva seduta stante un nome, Angiolino alzò lo sguardo, vide una targa con un messaggio alla nazione. Firmato: Diaz. 

«L’aggia chiamà come al generale nostro della Vittoria!» decise su due piedi.
«E che cazz’ di nome è Firmato?» esclamò Pasquale. «E a te ch’ te ne fotte?» replicò Angiolino piccato.
«E che cazz’ di nome è Firmato?» esclamò Cipriano quando Angiolino gli comunicò la notizia.”

Diamo per scontata l’istruzione e invece la fortuna che abbiamo ad averla così accessibile ha un valore inestimabile. Unico rammarico è che ad oggi, nonostante il lungo tratto  percorso, la strada verso la completa alfabetizzazione del mondo intero sia ancora così lunga.

Partecipazione per la morte di Romualdo padre, l’urlo disperato di Palma e l’immagine consolatoria dell’incontro a metà strada tra padre e figlio. Mentre l’uno saliva, l’altro scendeva. 
Poi il tempo galantuomo restituisce alle anime in pena giusto quel po’ di serenità che serve per ricominciare a vivere accettando la morte come parte integrante della vita. Processo che potrebbe naturalmente essere più rapido,se il contesto socio-culturale non imponesse alla povera vedova di affliggersi per un tempo lunghissimo.

“Erano passati sei anni dalla morte di Romualdo, il tempo aveva attenuato il dolore d’una ferita mai rimarginata. Da principio, anzi, pareva che Palma non volesse guarirne, quasi che la sua serenità fosse un insulto alla memoria del marito. Se i ricordi e le lacrime le giungevano spontanei, col passare degli anni fu lei che, quasi privata da una punizione, li sollecitava. I ricordi accorrevano veloci, le lacrime, però, sempre più stentate. La percezione di un dolore meno intenso la ferì come una colpa, un tradimento.”

 Colpisce la testarda tenacia con cui il capostipite Parlante,”papanonno”, vorrebbe prendere le distanze dai braccianti senza che gli sia di contro concesso dai “nobili”di entrare a far parte del loro mondo.
Eloquente è la scena in cui il conte chiederà a Sebastiano Parlante di tenere buoni i braccianti in vena di scioperi per un lavoro e una paga dignitosa.

”«Ho invitato stasera anche il nostro devoto amico Sebastiano Parlante per chiedere a lui di fare in modo che la situazione a Balsignano resti tranquilla». Era stato un colpo basso, quel «devoto amico» rappresentava chiaramente i ruoli. Tutti ricordavano i precedenti di Bastiano e gli riconoscevano il pugno forte nel gestire i braccianti. Altro che sedersi al tavolo da pari a pari: loro erano i signori e lui restava sempre un capobastone, ricco sì, ma capobastone.”

E questo pensiero sarà il suo tormento, elemosina e accondiscendenza saranno i suoi tormenti. 

”Si rivide bambino al seguito di suo padre, docile strumento nelle mani del vecchio conte: era piccolo, ma aveva capito che quel pane assicurato ogni giorno non era loro, era elemosina e accondiscendenza.“

Fino ai profondi sensi di colpa per la morte del nipote Bastiano, figlio di Aniello.

”Colpe e attenuanti si rincorrevano nella sua mente, ma nulla valeva ad assolversi da una condanna che s’era già inflitto senza appello. La tragedia di quel nipote s’era consumata come un temporale d’estate che devasta e passa. Era passato, ma portandosi appresso un innocente. «Sto a pagare pe’ i peccati miei», continuava a ripetersi Bastiano. Si sentiva stanco, soprattutto si sentiva colpevole.”

Molta tristezza ha suscitato la morte di papanonno ma non per la dipartita del vecchio, uomo rozzo e poco avvezzo ai sentimenti, no, piuttosto per la reazione di Aniello  nel cui odio aveva riversato tutto il suo dolore e la sua disperazione.

“«All’inferno deve andare! È quella casa sua e lì ha da sta’! Co’ l’ diavuli amici a isso!» Fu preso da un dubbio atroce: l’idea di venir visitato dal fantasma del padre lo preoccupò. «E non t’ si permetten’ d’ venì la notte a romp’ u’ cazz’ a me!» Fece gli scongiuri: sputò a terra, con la mano sinistra indirizzò le corna al cielo e con la destra si toccò gli attributi che miglior amuleto non aveva. Rassicurato proseguì. «U’ infier’ è u’ post tuo e là t’ha da sta’!»”

Commovente la fedeltà di Adalgisa, mamma di Angiolino, ragazza madre adottata dai Parlante, che con il suo italiano improbabile e il suo grande cuore conquisterà l’affetto di Palma e di tutta la famiglia. Dolce la richiesta che farà a Cipriano quando ormai anziana sentirà l’ imminente avvicinarsi della fine dei suoi giorni.

«Quando che me ne vaco, non mi rimannare o’ paese mio. Io qua voglio stare, e vicino a mamma tua, a Palma. Me la fai ’sta grazia?»

L’amicizia fraterna che nulla può scalfire tra Cipriano e Angiolino. E sarà proprio in nome dell’ amicizia che Angiolino lo metterà in guardia su suo figlio Romualdo.

”Angiolino non si era sbagliato su Romualdo nel temere che facesse qualche guaio: tanto girano le mosche intorno al miele che alla fine ne restano invischiate.”

E tra Cipriano e Alessandro, mediatore commerciale ebreo che Cipriano ospiterà in Puglia nascondendolo ai tedeschi e di fatto salvando la vita a lui e alla sua famiglia.

”E poi ho rivisto il dipanarsi degli anni, quelli belli e quelli brutti, e quella matassa ingarbugliata mi è parsa semplice e lineare come non mai: tutto ha avuto una logica, un perché e ci ha condotto qui, ora… Insomma, forse dovrei semplicemente dirti che sono felice di averti incontrato e sono onorato della tua amicizia.»”

È quanto dirà Alessandro quando, finita la guerra deciderà di lasciare Balsignano.

Fratelli di Cipriano sono Costanzo, militare fanfarone seguace di D’ Annunzio e fascista e Ciccio prete e poeta. I due hanno tra loro un rapporto conflittuale ma pur sempre fraterno.

E la storia che si ripete in una sorta di corsi e ricorsi famigliari. Come Romualdo padre, anche Nello figlio di Cipriano, dovrà lottare per conquistarsi il diritto di studiare. Ma la replica davvero triste che andrà in scena è un’altra: l’odio di Romualdo verso suo padre.

”Si sentiva forte, Romualdo, sapeva d’avere una ricchezza che suo padre aveva ormai perduto e che non avrebbe mai potuto riguadagnare: la giovinezza. La storia si ripete, anche quella di famiglia. Come zio Aniello aveva giurato a Bastiano d’accompagnarlo al cimitero con la banda, così Romualdo guardava dalla finestra la stanza di Cipriano, sapendo d’esserne visto, sfidandolo a una gara che sapeva di vincere: quella con il tempo.”

Romualdo nel corso della sua giovinezza troverà degno appoggio nello zio Costanzo accomunati come sono dagli stessi tarli nel cervello

“Così, insieme ai racconti di guerra, Costanzo iniziò a parlargli delle sue idee geniali per far soldi e della congiura tra il fratello avaro e il destino inclemente che le aveva fatte abortire. Quel nipote che gli dava ascolto diede dunque la stura a Costanzo per sciorinare non solo le iniziative fallite, ma tutte le altre che la sua fantasia aveva partorito e che solo l’assenza di mezzi adeguati aveva castrato. Romualdo restava a bocca aperta nello scoprire quanto prolifico fosse l’ingegno imprenditoriale dello zio e quanti mezzi e sistemi ci potessero essere per far soldi.”

Tristemente scorrono i giorni di Vincenzina colpevole solo di aver avuto un marito donnaiolo e autocondannatasi ad una vita ritirata e in disparte.Quanto pesano le parole? Perché è proprio dalle  parole che la povera e ormai grassa Vincenzina è fuggita per tutta la vita. Parole ignoranti e giudicanti, che l’hanno tenuta in prigione. E la prigione è un luogo dove ogni umanità svanisce.

La vita non fu clemente nemmeno con la sfortunata Regina, figlia di Cipriano.Sembra avverarsi la profezia che preannunciava l’arrivo della «regina di gioia e di dolore». 

”Per scaramanzia nessuno aveva commentato il vaticinio che, estrapolato da un contesto sibillino, avrebbe potuto preannunciare il tutto.”

E i numerosi incontri con la morte, evento che non sempre giunge a sorpresa, ma che anzi, alcuni personaggi si siedono serenamente ad attendere vista la sua ineluttabilità  mentre altri disperatamente ne implorano l’arrivo.

Una saga famigliare per la cui costruzione l’autore ha attinto a piene mani nella storia della sua famiglia. È evidente la conoscenza profonda di cultura, dialetto e luoghi… anche se Balsignano in realtà non esiste.

Unico punto critico: il romanzo riportando numerose espressioni dialettali potrebbe risultare di non immediata comprensione per chi non ha dimestichezza con il pugliese. Tuttavia in un sud di circa un secolo fa e senza troppi banchi di scuola, quella lingua così scarsa di vocali, rappresentava l’unico mezzo di comunicazione.
Ancora oggi il dialetto pugliese e in generale di ogni angolo d’Italia rappresenta per chi lo parla l’attaccamento alla propria terra e alle proprie origini. E di fatto è una risorsa culturale che in nome della lingua “unificata”non andrebbe persa.

Il romanzo è davvero molto avvincente.

Complimenti!

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