
Torna in libreria in una nuova versione aggiornata “Gli angeli di Lucifero“, il successo d’esordio di Fabrizio Carcano, giornalista, scrittore, opinionista televisivo, pubblicato nel 2011 (Mursia Editore 2025, Collana Crime & Thriller, 474 p.). Un poliziesco ad alta tensione dai contorni alchemici su cui si allungano le ombre dell’occulto, di omicidi efferati e rancori mai sopiti.
Ringraziamo l’agenzia 1A comunicazione e la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.
Trama di Gli angeli di Lucifero
Il giornalista Federico Malerba, cinicamente, ha fatto sua una massima nota tra gli addetti ai lavori che suona così: “Se non c’è sangue non c’è la notizia”. Pertanto imbastisce senza particolare impegno, e lui è innamorato del suo lavoro, un articolo sulla profanazione di una tomba seicentesca nel cimitero di Chiaravalle alla periferia di Milano.
Un atto di vandalismo routinario, irrilevante sotto il profilo penale e di scarso appeal mediatico visto che la famiglia è estinta da secoli. Al vaglio degli inquirenti accertare se sia opera di teppisti, balordi, figure legate a cellule esoteriche.
Ignoti hanno profanato la cappella funeraria della storica famiglia Acerbi. Si sono accaniti contro la lapide del marchese Ludovico Acerbi, passato alla storia con il nickname di Diavolo di Porta Romana per il suo comportamento eccentrico. Un festaiolo chiacchierato tra i contemporanei che durante la peste manzoniana condusse – così pare – una vita dissoluta immune dal morbo, tanto che il popolino avrebbe ravvisato in lui l’incarnazione del Maligno. Come spesso accade quando ad avere la meglio è la vox populi, del suo ruolo di spicco nel governo cittadino e in ambito culturale non si parla mai.
A stretto giro di posta il Malerba viene inviato a documentare un altro reato che, purtroppo, anche se ci scappa il morto non fa notizia: l’omicidio stradale con omissione di soccorso. Un pirata della strada ha investito un tizio. Anomala la dinamica dell’incidente.
Ogni investigatore prima o poi si trova al suo bivio: scegliere tra la giustizia dei tribunali, imprecisa, lenta, fallace, o quella degli uomini, immediata, senza codici, ma ugualmente fallace. Gli antichi la chiamavano la Nemesi, la dea bendata con la spada e la bilancia che irrogava i castighi per compensare i torti
Nel corso di una vicenda sempre più incalzante dall’impostazione cinematografica, due reati all’apparenza marginali e perdenti sul piano investigativo rivelano la loro vera natura. Sono i tasselli di una partitura complessa che affonda le radici nel passato. Una misteriosa scia di sangue metterà alla prova il commissario Ardigò, minando la dialettica tra verità e giustizia che abita la sua coscienza:
I duellanti
Sulla tomba vandalizzata viene rinvenuta la riproduzione della Pala dei tre Arcangeli di Marco d’Oggiono, raffigurante la cacciata di Lucifero da parte di san Michele. Al suo fianco san Raffaele e san Gabriele. Ma in versione modificata perché ad avere la meglio in un rovesciamento dei rapporti di forza è l’angelo ribelle. Quando la stessa riproduzione accompagna il set di una serie di delitti che sconvolgono la città meneghina, entra in campo il commissario della Omicidi Bruno Ardigò. Le vittime sono professionisti affermati, post-yuppie o luminari al di sopra di ogni sospetto. Qual è il fil rouge tra gli omicidi? E il collegamento con la profanazione della tomba?
Mentre Ardigò organizza una task force per prevenire una mattanza, il Malerba sembra baciato dalla fortuna o dal peggiore degli incubi. Uno sconosciuto lo sceglie come interlocutore per una caccia al tesoro in giro per Milano a suon di messaggi cifrati e oggetti mefistofelici. Avere una corsia preferenziale per comunicare con il presunto villain sembra il sogno di ogni reporter. Ma il rischio si trasformi in un boomerang è dietro l’angolo.
La firma artistica trovata sulle scene del crimine sembra riconducibile a gruppi satanisti. La sfida alle forze dell’ordine e l’aggancio alla sponda mediatica attraverso un giornalista ambizioso è tipico del killer seriale. Gli inquirenti sono disorientati.
Recensione
Fabrizio Carcano mantiene una rotta narrativa precisa: non mostrare quasi mai il cattivo. Qualche frame a suggerire un’ombra, una sagoma, una mano pronta a colpire, il viso ingessato da una maschera Nō. La regia si sofferma sugli indizi lasciati sul suo cammino, la reazione di chi scopre i cadaveri o il Male lo vede in faccia. Così il loro sgomento diventa il nostro. E mentre le inquadrature diventano sempre più strette, anche noi ci sentiamo in pericolo.
Alternando sequenze statiche e dinamiche, il romanzo è articolato in due parti. Nella prima si rincorrono ipotesi, ragionamenti, ricostruzioni. Nella seconda la caccia al tesoro si trasforma in una caccia all’uomo. E l’indagine rimbalza dal passato per dare finalmente un volto, un nome, un movente a chi si cela dietro tanta ferocia.
Accurata la ricostruzione della filiera delle indagini mentre la stampa si barcamena tra riserbo e frenesia di lanciare uno scoop. Altrettanto curata la geografia di una Milano esoterica dove si intrecciano storia, leggenda, folklore.
La coppia formata dal commissario e dal giornalista, che si contendono il podio da protagonista, funziona alla grande. Background e temperamento opposti, sono affratellati dal desiderio di arrivare alla verità. Ognuno ha il suo assist-man e relazioni con numerosi personaggi che coprono un ampio ventaglio sociale.
Il romanzo trova la sua ragion d’essere in una struttura solida e ramificata che assembla diverse componenti. Storia, esoterismo, religione, arte e una toponomastica così minuziosa da trasformare il lettore in testimone oculare. Se poi, come me, vivete a Milano, l’immersione in questa vicenda da brivido è assicurata. C’è posto anche per una ventata di romanticismo. Aggiungono mordente le digressioni sul capoluogo lombardo, i colpi di scena a cascata e i doppi fondi della giustizia. Il finale vi sorprenderà.