
“Hotel Silence” – definito dai librai islandesi libro dell’anno 2016 – è un romanzo della scrittrice Adur Ava Olafsdottir. Pubblicato in Italia da Einaudi nel 2018, tratta con delicatezza e pacata ironia il tema della solitudine che porta, o potrebbe portare, a scelte estreme.
Trama di Hotel Silence
L’ambientazione iniziale è un salone di tatuaggi dove il protagonista, Jonas, cerca una livrea per coprire una delle sue cicatrici. Ben altro ci vorrebbe per nascondere l’infelicità che già gli ha fatto delineare un piano: porre fine alla sua vita di quarantanovenne. Anche se gli restano una madre, persa nei fumi della demenza, e una figlia adorata, niente può più stupirlo. Conosce malvagità e bontà umane; della vita ha assaporato le esperienze possibili. Oltre alla scelta del modo di morire, si tratta di trovare il luogo. Perché infliggere il suo suicidio alla figlia? Meglio che a ritrovarlo siano persone estranee, meglio ancora che il fine vita avvenga in un anonimo hotel, magari in una zona appena uscita dalla guerra.
Dalla lettera di addio abbozzata:
Faccio la prima brutta copia della lettera : Allora io vado. Perchè “allora”? Aggiungo : “e non tornerò” Poi tiro una riga su “tornerò” e lo sostituisco con non “esisterò più”.
Cancello tutto. Ricomincio da capo.
Cosa si prepara per un viaggio senza ritorno? Basta una valigia quasi vuota, ma per un piano del genere è utile la cassetta degli attrezzi che sarà la metafora del ricominciare a vivere.
Ad accogliere Jonas un hotel immerso nella polvere grigia come cenere, attorno solo devastazione. Anche i gestori e le persone del luogo portano nell’animo i segni della guerra.
In breve tempo le richieste di sistemare si moltiplicano: c’è bisogno di Jonas, ma soprattutto della sua cassetta degli attrezzi.
Recensione
E’ aggiustando sportelli e maniglie, assestando infisse e tubature, usando i suoi attrezzi e diventando in breve tempo un ospite apprezzato e insostituibile dell’hotel Silence che Jonas cura le sue cicatrici, recupera comportamenti che hanno origine nella sua infanzia. Lui, che è stato sempre un uomo impegnato ad aggiustare, rimanda il giorno in cui morire. Senza rendersene conto non si culla più in quella tristezza, di cui non incolpa nessuno, ma che è come una scheggia di vetro nella gola. Entrando in contatto con chi ha provato la sofferenza della guerra, Jonas diventa un uomo in evoluzione: tutto può trasformarsi in qualcosa di diverso. Mentre i personaggi incontrati assumono una precisa collocazione, il protagonista sposta l’attenzione dai suoi bisogni ai bisogni degli altri; approda a un equilibrio del vivere. Il libro è scritto con delicatezza; vi trapela un sottile umorismo che aiuta ancor di più la lettura, già scorrevole di suo. Lo spostamento da atmosfere nordiche a una zona indefinita di guerra traccia un taglio netto tra il prima e il dopo. Ed è proprio nella desolazione del dopo che il vuoto si riempie di speranza.