Il disegno per San Nicolò

Il suono del campanaccio abbandona la sua vibrazione nell’aria in qualche secondo di sospensione; Chiara è già avvinghiata alle gambe della mamma, prima di ritrovarsi con la sciarpa attorcigliata al collo ed il berretto calcato in testa. Non c’è tempo da perdere.
La voce concitata di papà non fa che aumentarle la confusione:
– Sentito?! Andiamo. Prendi il disegno. Non si può far attendere San Nicolò!

Certo che non si può farlo attendere: quello sarà sì un santo generoso, ma in quanto a pretese…lasciamo stare. Nelle ultime settimane, giocattoli messi rigorosamente in ordine e minestrine trangugiate fino all’ultimo cucchiaio, tanto il ritornello era sempre lo stesso: “San Nicolò ti vede”! E tutto per avere la Lele, che, come mostra la pubblicità, schiacciandole un bottoncino, non solo è capace di piangere, ma addirittura di ridere.
Ora che si ritrova tutta infagottata, il disegno arrotolato in mano, chiuso col nastrino rosso, qualcosa dentro la pancia si sta aggrovigliando.

– A San Nicolò piacerebbe un disegno fatto da te! aveva buttato là, come per caso, pochi giorni prima la mamma. Chiara non aveva intenzione di scontentare il santo, ma si fosse trattato di richiesta da poco! Visto soprattutto che, in quei primi tre mesi di scuola primaria, si era sentita dire dalla maestra che doveva arricchire i suoi lavori. Arricchire? Ad esempio disegnando dei soldini in un angolo? Provando e riprovando, aveva capito che doveva aggiungere rami e foglie per gli alberi e, per i personaggi, orecchie, sopracciglia, ciglia. Infine le mani, possibilmente belle piene, tornite. Ed era qui la catastrofe: ogni volta che tentava di attaccarle alle braccia che cadevano a picco dal testone, il risultato erano due artigli pronti a graffiare.

Proprio per quel disegno mal riuscito – la gomma aveva abbandonato la sua scia di lumaca attorno ad un povero san Nicolò sperso sulla carta – la bambina adesso preferirebbe restarsene in casa a coccolarsi gli spasmi alla pancia che vanno e vengono. Cosa dirà il sant’uomo che se ne intende molto, molto più della maestra di fronte al suo sgorbio, fra l’altro ricoperto di un mantello dove il colore rosso è impazzito come se, non sapendo dove andare, avesse tentato tutte le direzioni? La sua firma, grande, in stampato maiuscolo, aggiunta perché almeno occupasse un po’ dello spazio bianco rimasto, lo avrebbe impietosito?

Pensieri poco confortanti l’accompagnano verso la piazzetta, spronata da mamma e papà, lì dove un gruppo di bambini e genitori è schierato nello spiazzo rischiarato dal lampione attorno alla fontana ad attendere il miracolo che, anche quest’anno, come ogni 5 dicembre, si rinnova.
Le hanno raccontato che, al tempo dei nonni, San Nicolò portava mandarini e noci; per fortuna i regali sono cambiati se ora si può richiedere un gioco prezioso come la Lele. Certo, adesso essendo molto più vecchio, si farà dare una mano dagli aiutanti.
Negli occhi che scrutano l’angolo della strada, la trepidazione è evidente; il mormorio si abbassa di colpo appena la figura irrompe dallo sfondo buio e trasforma la piazzetta in un quadro che smuove ricordi lontani, che riemergono nitidi anche nell’animo dei grandi.

Non è la sola, Chiara, ad annaspare in un carico di tensione. Qualcun altro, che mischia il presente con le nostalgie del passato, ha paura che la fuggevole irrealtà della serata all’improvviso si sgretoli, scompaia.
Qualcun altro che ritorna col pensiero ad un mese prima alla sede della Pro Loco…

Il presidente stava concludendo:- Siamo arrivati all’ultimo punto all’ordine del giorno. Insomma, bisogna pensare al San Nicolò che arriva fin lassù, alla frazione. Chi si sente di farlo? Il resto è tutto organizzato come gli altri anni: avvisi alle famiglie, costume, aiutanti.
Qualcuno tra i più giovani aveva borbottato: – Quest’anno viene pure di domenica…
– Dai, non è ‘sto gran lavoro! Si arriva in piazzetta, si dice qualche parola, le solite, si lascia il regalo.

E’ stato un lampo, Giuseppe aveva alzato la mano: – Lo faccio io.
Unanime il sollievo: c’era chi si sarebbe sobbarcato quella scocciatura.

Impersonare San Nicolò! Si era girato e rigirato nel letto Giuseppe quella notte, le palpebre pesanti ma il sonno non arrivava. Errori suoi, errori di suo figlio; non c’era stato modo di riaggiustare i pezzi di fronte alle parole ingiuriose che non gli erano state più perdonate. Dopo i primi tentativi di riappacificarsi, aveva lasciato stare, venendo a patti con una feroce malinconia che si era trasformata, giorno dopo giorno, in una quotidianità mortificata.
Era l’unica occasione per avvicinarsi, vederla, sfiorarla. Quella bambina, sua nipote, intravvista qualche volta da lontano che non gli avevano mai permesso di conoscere: una condivisione di affetti negata, la sua pena da scontare a vita.

Ed ora, nel buio della sera, sono in due che hanno voglia di scappare.

La bimba trattiene il fiato appena avvista un mantello imponente camminare, sparato verso il cielo; in testa un cappello alto e solenne; tra l’uno e l’altro, una barba lunghissima che ricopre tutto il viso. Anche se dietro scorge un carretto tirato dagli aiutanti su cui sporgono dei pacchi, lo sguardo della piccola non si stacca da quel vecchio che si appoggia ad uno strano bastone dall’impugnatura ricurva.

San Nicolò si ferma al centro della piazzetta; dalle bocche socchiuse per la meraviglia di fronte ad un rituale sempre uguale e sempre sorprendente escono nuvolette, impronte di fiati che si fondono l’una con l’altra. Secondo regole consolidate, prima della consegna del regalo, nessuno potrà sfuggire alla domanda: – E tu, sei stato bravo?

Chiara, le viscere in tumulto, sa che nessuno farà quei tre passi al posto suo e allora, il mento orgogliosamente sollevato, quando è il suo turno si avvicina. Ha già deciso: consegnerà subito il disegno e…sarà quel che sarà.

San Nicolò Giuseppe prende il foglietto con le mani che tremano: visto da vicino, si capisce che, pur non essendo un umano come gli altri, patisce il freddo anche lui. Indugia sull’immagine disegnata, non le chiede neppure come si è comportata come ha fatto con gli altri. Quindi alza lo sguardo:
– Sei bravissima Chiara.
Le parole sono solo tre, ma gli occhi che scintillano, sotto due cespugli bianchi, sembrano continuare a dirle qualcosa, mentre osserva quelle ciglia lunghe, le fossette sulle guance.
Allora i suoi disegni sono ricchi! Le gambe incollate a terra, le dita delle mani intrecciate strette strette, Chiara si sente così contenta che non pensa neanche più alla Lele, quando si ritrova con un un pacco tra le braccia. Prima di allontanarsi sente una mano sfiorarle il viso con una carezza.

La luce della piazzetta ora illumina i bambini sparpagliati, intenti chi a a rompere i pacchi, chi a tornare alla propria casa. Anche San Nicolò, con passo stanco, come gli dispiacesse rientrare nella notte che lo accoglie, se ne sta andando: il suo dovere è finito.

Alla luce di un lampione, nella sera fredda del 5 dicembre, sotto un cielo che è un telo blu mitragliato di stelle, un uomo avviluppato in un mantello ripassa con un dito le lettere sparpagliate di un nome, Chiara, come seguissero profili di colline a contornare un disegno al limite della perfezione.

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  1. Annamaria Gazzarin 03/01/2022

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