Vi raccontiamo un fantahorror di Lorenza Ghinelli, “Il divoratore”, Marsilio, che abbiamo letto nella prima edizione dell’ottobre 2021 nei tascabili dell’Universale Economica Feltrinelli (240 pagine, 10 euro).
C’è qualcosa nel disegno di un adolescente, la figura cattiva di un vecchio, che risveglia nell’assistente di sostegno del ragazzo una suggestione remota: brutti ricordi di vent’anni prima. Consigliato a lettori di storie non scontate.
Trama de Il divoratore
Pietro ha quattordici anni. Memorizza tante cose e le ripete. Gli danno fastidio i rumori forti e tanto altro gli mette paura. Teme il contatto con le persone, si sottrae, se non vestono di verde, il suo colore preferito. Ne conosce cinquantadue sfumature e le scandisce tutte, quando vuole, un elenco dettagliato, interminabile. Pietro non sa stare con gli altri ragazzi. Non li guarda negli occhi, tiene lo sguardo fisso, senza espressione. Resta in piedi in un modo strano, sgraziato, il tronco fermo, le braccia mosse avanti e indietro, avanti e indietro. Ripete sempre la stessa frase, “Pietrononfaretardi, Pietrononfaretardi, Pietrononfaretardi”.
I capelli fini, biondi, color grano, sono tagliati male, perché ha terrore delle forbici e la madre può usarle solo mentre dorme. Pietro è bello, debole, fragile. Pietro è un gioco crudele per certi ragazzini del Pep. Ed è per questo che Filippo, tredici anni e un cuore di pietra, ha chiesto a Dario di scendere in cortile, ma solo se porta anche il fratello grande. Ci sono pure Luca, fumatore incallito solo dodicenne e Francesco, un ruvido che nasconde tanto bisogno di affetto.
Una figura irregolare li osserva
Dario, il fratellino di Pietro, non ha nemmeno nove anni e sa che quello farà la solita bruttissima figura, ma gli va di stare con gli altri ragazzi. Però Filippo vuole solo mettere in mezzo il povero Pietro, scatenare ancora più le sue insicurezze. Non sa niente della sindrome dello spettro autistico, ma gode quando quel ragazzone grande, grosso e tanto strano dà di matto. Si divertono in tre, con la violenza psicologica degli adolescenti che scortica vivi i coetanei.
La scioltezza con cui Lorenza descrive in profondità i caratteri è impressionante.
Il gruppetto in cortile non si accorge della figura irregolare che li osserva. Uno strano vecchio, nascosto dietro l’unico alberello. Batte sul marciapiede la punta del bastone da passeggio, “tic, tic, tic, tic”. È di legno lucido scuro, con un manico d’avorio a forma di testa d’uccello, chioma scarmigliata e becco lungo, tagliente, rapace. Non si è fermato di proposito in quel cortile, “cercava, ha trovato e ascolta”. Veste di nero, indossa una palandrana sopra una camicia e pantaloni con la riga in mezzo, eleganti ma sporchi. Cappello a tese larghe. Ai piedi scarpe da tennis bianche, slacciate.
Sotto il ponte sul Marecchia
Il primo a morire sarà Filippo, “della strana morte di cui morirono gli altri”scrive improvvisamente Ghinelli, aprendo il secondo capitolo. La bicicletta, scassata, è accanto ai vestiti impilati ordinatamente uno sull’altro, sotto al ponte del fiume Marecchia, sulla statale, all’altezza dell’incrocio per Covignano.
Siamo a Rimini evidentemente, città dove vive la scrittrice, nata a Cesena quarant’anni fa, autrice di romanzi che hanno concorso a premi prestigiosi, soggettista e sceneggiatrice televisiva. È docente a Torino nella Scuola Holden, l’università della narrativa, storytelling e comunicazione.
Lo spazio quindi è una Rimini poco estiva e per niente vacanziera. Quanto all’unità di tempo, si va avanti e indietro – come le braccia di Pietro – a dieci minuti prima, a cinque ore. Si salta finanche al 1986, alla quotidianità dolorosa di Denny Possenti, sette anni. Il papà beve e traccia con rabbia sulla tela una figura dal volto ceruleo, l’Uomo dei Sogni, con ai piedi scarpe da ginnastica. Entrambi cercano di non sentire le urla della moglie-madre, sfatta dalla dipendenza, che reclama ossessivamente le sue pillole. Il piccolo schiaccia i palmi sulle orecchie. E inventa filastrocche strambe, piene di spettri, spaventose.
Una storia dura, sociopatica
La scelta narrativa dell’avanti e indietro nel tempo aggiunge magnetismo a un racconto che ne ha già tanto. Le qualità del lavoro di Lorenza risaltano. E attirano. Racconta una storia dura, piena di disvalori, sociopatica, ma le negatività sono sterilizzate da uno stile di scrittura evoluto, assolutamente non comune. Una mamma viene descritta come “la fotocopia ingiallita della sua brutta copia di dieci anni prima”. L’Uomo dei Sogni vive negli incubi ed è “un io, anche un noi, un voi, un essi”. La violenza di certi momenti, che potrebbe uscire dalle pagine e travolgere il lettore, resta però incorporea, pur toccando corde sensibili e attirando attenzione.
Se ha un difetto questo romanzo, accostato da qualcuno a “It” di Stephen King – ma non sembra un complimento alla scrittrice romagnola – è che la commistione di generi, fantahorror, thriller, psyco, surreale, non prende una direzione precisa. Nessuno prevale sugli altri. Ma le premesse sono avvincenti.
Tornando alla trama, Pietro disegna quello che ha visto ed anche un vecchio strano, con le scarpe bianche. Alice lo aiuta ad esprimersi, è la ventisettenne educatrice di comunicazione facilitata, l’unica con cui il ragazzo sembra fare lenti progressi.
Ma c’è qualcosa nel disegno del ragazzo, nel vecchio e nel modo in cui è rappresentato, che risvegliano in lei una suggestione.
Una ricerca su Google. Un nome. La foto di Lucrezia. Gli articoli dell’aprile 1986.
Aveva dimenticato. Ora ricorda.
Si apre un’ulteriore coordinata temporale: il diario di Alice.