“Il ponte nel deserto” – Brianna Carafa


Voto: 5 stelle / 5

“Il ponte nel deserto” (Einaudi, 1978) è il secondo e ultimo libro dell’autrice e psicoterapeuta napoletana Brianna Carafa, candidata al Premio Strega per “La vita involontaria” del 1975. Di lei su internet sono reperibili poche informazioni e alcune ricerche, ma se si legge questo libro rimane una dubbio forte: che forse abbiamo lasciato dietro di noi il ricordo di una scrittrice fine e acuta.


Trama de Il ponte nel deserto

Bobi Berla è sotto processo perché un ragazzo è morto di overdose. Lui risulta coinvolto nello spaccio, ma sostiene di essere in Messico perché è ingegnere e sarebbe stato mandato a progettare un ponte in un deserto. Un ponte che non avrebbe collegato nulla: come la sua mente, che seguiamo vagare tra tentativi di lucidità e sempre più frequenti astrazioni e associazioni mentali.

Brianna Carafa copertina Il ponte nel desertoRecensione

“Il ponte nel deserto” è lungo solo 150 pagine ed è uno dei motivi per cui, in modo assolutamente casuale, l’ho scelto. Partecipo a diverse sfide di lettura, mi serviva un titolo con la parola “deserto” e in biblioteca, mentre restituivo il libro appena letto, mi è caduto l’occhio su questo. Era un’autrice italiana, cioè di una nazionalità che leggo sempre troppo poco; era pubblicata da Einaudi, per cui ho pensato: se proprio non mi piace, almeno è corto.

Ho letto le prime trenta pagine con una lentezza inaudita. La lancetta piccola di un orologio si è mossa più velocemente della mia mano, potrei dire, citando un personaggio di Edgar Allan Poe. “Sennò finisce subito”, potrei aggiungere, citando più prosaicamente la pubblicità di una mozzarella degli anni ’90.

“… e soprattutto quel piccolo regno armonioso ch’era la villa con il suo giardino, cui la madre di Bobi dedicava cure puntigliose, quasi a creare una gentilezza rigorosa, un equilibrio difficile e sottile che sarebbe penetrato anche a loro insaputa nell’animo dei figli, tenendoli un poco discosti dal mondo.”

Ho letto lentamente perché la scrittura di Brianna Carafa mi ha sopraffatta. L’ho trovata elegante e precisa. Quando avrò letto più autori di quel decennio saprò anche dire se fosse innovativa. L’aspetto che mi ha affascinato di più è stata la maturità nella gestione del flusso di coscienza e del monologo interiore.

Questo tipo di sperimentazione risale agli anni ’20 del Novecento e sappiamo che James Joyce e Virginia Woolf ne furono i pionieri.

In virtù anche del suo mestiere di psicoterapeuta, ne “Il ponte nel deserto” lei compie un riuscito esercizio di immedesimazione nella testa di una persona che non è mai stato una cima. La quarta di copertina parla di schizofrenia, io parlerei di un ritardo mentale, ma l’esperimento non è per questo meno interessante. Per centocinquanta pagine siamo accompagnati dalla voce narrante, con gentilezza e musica, dentro e fuori Bobi Berla.

Sappiamo cosa gli accade intorno ma vediamo anche insieme a lui i flash che lo colpiscono, le subitanee associazioni mentali, gli echi delle voci che lo assalgono, e ho trovato il risultato assolutamente intenso e profondo. Un’autrice da riscoprire.

L’autrice

La psicoterapeuta Brianna Carafa è vissuta a Roma, è nata nel 1924 ed è morta, a 54 anni, nel 1979. Porta lo stesso nome di una delle più belle donne del Regno e appartenente ad una delle più aristocratiche famiglie di Napoli, ma vissuta nel sedicesimo secolo, nipote di Papa Paolo VI e amante delle belle arti. Per conoscere la nostra Brianna, invece, occorrerà investigare su riviste e giornali del tempo e assicuro che lo farò.

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