“Maschere e figure” – Paolo Ruffilli


Voto: 4 stelle / 5

Ricondurre a una rosa di archetipi gli inquilini delle pagine più amate della letteratura e del teatro è quanto si prefigge Paolo Ruffilli nel saggio “Maschere e figure. Repertorio di tipi letterari” (Il ramo e la foglia Edizioni, settembre 2023, 152 pagine). Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.

Trama di Maschere e figure

I modelli analizzati sono nove: il pigro, il libertino, l’ipocrita, l’ingenuo, il bello, la donna fatale, il malvagio, il vanitoso, l’androgino. In questo campionario di tipi senza tempo, ciascuno troverà il suo eroe o tratti della propria personalità. Ne presenterò alcuni.

Nella nostra tradizione narrativa, in parte anche per la condanna morale degli ignavi da parte di Dante, la pigrizia non ha la sfumatura vincente della passività taoista. Di conseguenza l’abulico, l’inetto, l’indifferente, l’estraneo, ad essa riconducibili, hanno attecchito in chiave negativa come paradigma dell’azione mancata. La letteratura russa dell’Ottocento brulica di uomini superflui, specchio dell’immobilismo sociale del Paese. Nel romanzo europeo novecentesco sono gli individui in crisi esistenziale ad avere cittadinanza.

Il pigro lato sensu non è Oblomov perennemente sdraiato sul divano dall’indolenza affine all’ignavia, ma Leopold Bloom che di vere qualità non ne possiede alcuna. Non avreste dato per favorito l’uomo senza qualità di Musil che, invece, sale sul podio come emblema della malattia della volontà? Tra gli inetti nevrotici spiccano Vitangelo Moscarda e Zeno Cosini. Tra gli irresoluti inesperti i fratelli Ardengo di Moravia. Indeciso confuso è il protagonista de “La montagna incantata” di Mann. Anche se l’estraneo alla vita per antonomasia è Mersault di Camus, Giovanni Drogo di Buzzati suggella il gruppo. Questo personaggio – dopo una vita all’insegna dello smarrimento aspettando Godot, il suo – sconfigge la paura della morte, unico e autentico avversario. Il che a dire mette a fuoco e raggiunge l’obiettivo.

Mattia Pascal lo trovate nella pinacoteca dedicata all’ingenuo affine all’ipocrita, per il castello di bugie costretto a costruire. Quando l’ingenuità è patologica nessuno batte Don Chisciotte e il principe Myškin. Se la dabbenaggine è amplificata dalla cassa di risonanza della vanità il campione è Calandrino che, vale ricordarlo, tra le mura domestiche è un marito violento. La creatura di Boccaccio è un esempio di sciocco, vanitoso e cattivo.

Uno spazio di interesse è riservato all’ingenuità violata dei bambini. È d’obbligo un riferimento sia a Dostoevskij, che li inserisce sempre nei suoi romanzi con ruoli affatto marginali, sia ad Ibsen. L’ingenuo, il sempliciotto, il babbeo sono speculari al cattivo, al perfido, al manipolatore. Infatti la figura del Candide variamente declinata come pietra angolare di narrativa e teatro illumina la malvagità del singolo e della vita dove è il male a trionfare. E viceversa.

Per questo motivo c’è l’imbarazzo della scelta riguardo ai cattivi che, convogliando la nostra aggressività, ci fanno anche sentire migliori. Da sempre letteratura e patrimonio favolistico hanno trasfigurato la storia della corruzione dell’uomo e, fino all’antieroe del secolo scorso, anche il suo riscatto. Fermo restando Ser Ciappelletto il prototipo del malvagio avvezzo a ogni nefandezza, Iago, Lady Macbeth, la meno nota Cathy Ames de “La valle dell’eden” di Steinbeck e la perfida Milady di Dumas si piazzano in vetta tra maligni, ingannatori, criminali dal cuore di pietra. Nella variante dell’uomo incattivito dalla sorte compare il capitano Achab. Ecco l’Innominato tra gli scellerati convertiti a fini edificanti. Se vi interessano i pervicaci renitenti alla redenzione, basta sfogliare Swinburne, de Sade, Sacher-Masoch, Dickens, Tolstoj e “I demoni” dostoevskiani.

Recensione

La casistica proposta si distingue per ricchezza e originalità di esempi, sottigliezza analitica, padronanza dell’argomento. Scorrevole ed elegante il lessico.

Con la modestia di rito nel prologo l’autore dichiara che “il libro è pensato come una guida alla lettura o alla rilettura attraverso determinati personaggi e non in chiave di critica letteraria”.

Ciononostante questo saggio è molto più di un vademecum (e l’autore lo sa). Infatti esige la complicità di un lettore cognito per dirla alla Montalbano. Uno che non naviga a vista nei boschi narrativi, perché si orienta nelle coordinate storico letterarie dei grandi classici conosciuti, letti, studiati.

La disinvoltura con cui l’autore confronta modelli e personaggi è davvero brillante. Ora Lermontov e Puškin si misurano in amichevole sul terreno arbitrale del byronismo russo. La palla passa alle contraddizioni del nichilista Bazarov (per inciso “Padri e figli” di Turgenev è un romanzo meraviglioso) e al bovarismo che non si esaurisce nei sogni di Emma. A seguire Paolo Ruffilli ci introduce da fuoriclasse alla matematica seduttiva dei grandi libertini e della femme fatale con esempi tutt’altro che scontati. Fa inciampare i belli sulle loro debolezze. Sceglie l’androgino per chiudere la carrellata. Di matrice platonica, questo affascinante tipo letterario viene proiettato dai Romantici tedeschi in un ideale superamento dei sessi. Atterra sul realismo di Balzac. A sorpresa prende corpo in Hermann Hesse.

Mi sento di consigliare “Maschere e figure” di Paolo Ruffilli a docenti, studenti, lettori appassionati e curiosi. Astenersi perditempo.

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