“La bambina di Auschwitz” – Tova Friedman e Malcolm Brabant 


Voto: 5 stelle / 5

La bambina di Auschwitz” è un memoir di Tova Friedman, scritto insieme a Malcolm Brabant, pubblicato in Italia da Newton Compton all’inizio del 2023. RIngraziamo la casa editrice per la copia cartaca inviata in omaggio.

Trama di La bambina di Auschwitz

La Shoah rinasce tra le pagine del libro e grida il suo sdegno e unicità tra filo spinato e sogni. Una storia vera in grado di straziare l’anima. La piccola Tova ha poco meno di quattro anni quando inizia a vivere l’ incubo dei campi di concentramento. Prima viveva nel ghetto con i genitori che fanno di tutto per restare uniti e proteggersi. Come tutti.

Nel libro si ricostruisce nel dettaglio uno dei capitoli più duri ed agghiaccianti dello scorso secolo, lo sterminio del popolo ebreo. La bambina sopravviverà ma porterà fisicamente e psicologicamente gli strascichi della prigionia e della violenza inaudita vissuta. La liberazione russa fu un nuovo inizio e permise di tessere la trama della recente storia.

Recensione

Al principio la lettura di questo libro è  stata lenta e dilungata, almeno  fino alle  prime decine di pagine narrate da Tova Friedman, sarà la capacità di un pluripremiato ex corrispondente di guerra. A trovare  la combinazione per trasformare il romanzo in un profondo rispetto che il lettore deve a tutto ciò che magistralmente viene triportato nel libro. Brabant fornisce infallibilmente ricerche accurate per supportare i ricordi inesperti e a volte soffocati dalla stessa mente della Friedman. Definire realtà, gli orrori dell’Olocausto portati in vita tremendamente è limitativo.Attraverso gli occhi di una piccola bambina che riesce a malapena a leggere o riconoscere i numeri, si prova un senso di profonda inquietudine e vuoto. Per necessità di sopravvivenza questa bambina imparerà a riconoscere il suo, però. Il numero tatuato sul braccio, un numero che annulla una vita ma salva una speranza e una memoria.

Di certo ci viene spontaneo pensare che il ricordo di una persona nata nel 1938, poco prima dello scoppio della guerra, sia vacuo e inaffidabile. Invero ho personalmente avvertito che la narrazione ben congegnata e articolata chiarisce che molti degli incidenti vissuti dalla Friedman erano così orribili che sarebbero realmente stati impressi nel suo cervello.

Di certo, luoghi e date non potevano essere di impeccabile precisione. Qui entra indispensabile la ricerca di Brabant si prende cura di riempire con precisione le lacune temporali della Friedman. La forza di questo libro viene cementata dello stupefacente susseguirsi di alcuni eventi.

E’ esemplare la  determinazione dell’indomabile madre di Friedman, Reizel. Attraverso una combinazione di feroce volontà di ribellione e  capacità quasi soprannaturale di superare i nazisti, ha tenuto al sicuro Tova, che allora si chiamava Tola Grossmann.

Il libro è pieno di conversazioni ricreate tra Reizel e la sua bambina. Reizel che istruisce Tola a non muoversi, a non respirare, a rannicchiarsi vicino a un cadavere e a stare ferma, a non stabilire un contatto visivo con nessun nazista. Il contatto con lo sguardo dei nazisti era come affrontare con lo sguardo un cane affetto dalla rabbia. Entrambi, cani e soldati, avevano la bava alla bocca, il sangue negli occhi e una follia degenerata nella mente malata.

Altro evento che porterà un enorme contributo alla stesura di questo romanzo è la riscoperta, da parte della Friedman, della testimonianza oculare di suo padre nel libro Yizkor della sua città natale di Tomaszów Mazowiecki, in Polonia.

“Contenenti fotografie e tributi ai morti, scritti principalmente in yiddish ed ebraico, i libri di Yizkor furono un tentativo postbellico da parte dei sopravvissuti di ricostruire e onorare la storia che i tedeschi cercarono di cancellare”.

Machel Grossman, che era un membro delle forze di polizia ebraiche nel ghetto di Tomaszów Mazowiecki, scrisse vari capitoli di quei giorni, Friedman e Brabant seguendo questa eredità, sono così stati in grado di ricostruire molte delle atrocità accadute agli ebrei di Tomaszów Mazowiecki.

La storia della bambina di Auschwitz

La Friedman ebbe una fuga miracolosa, diventando uno dei pochissimi ebrei e certamente tra gli unici bambini – ad entrare in una camera a gas di Auschwitz, per poi uscirne viva, apparentemente dopo qualche errore amministrativo senza precedenti da parte dei nazisti. Una famosa fotografia, scattata alla liberazione nel gennaio 1945, ritrae un gruppo di bambini ad Auschwitz-Birkenau, che mostrano i loro tatuaggi alla macchina fotografica. La Friedman è sulla sinistra di quella foto, all’età di sei anni. È cresciuta fino a diventare una terapista nel New Jersey dopo un decennio in Israele, costruendo una famiglia di figli e nipoti.

Ma anche diventare una donna con un terrificante senso di autosufficienza, spinto dentro di lei dalla sua straordinaria madre è un memoir attuale ed interessante. Storia e fantasie si uniscono tra le strade del mondo, mostrando dolore e speranza.

Tova Friedman torna ad Auschwitz nel 1999. La sua mente ricompone nella disperazione estrema una immagine straziante ma necessaria: quando madre e figlia vengono spinte sul treno per Auschwitz e una compagna di viaggio chiede, meravigliata, se può toccare Tova. Ha già perso i suoi tre figli.

“Voglio che tu assaggi, senta e annusi com’era vivere da bambina durante l’Olocausto. Voglio che tu faccia una passeggiata nei miei panni e nelle orme della mia famiglia, anche se, nei momenti peggiori, non avevamo le scarpe.”

Nota del recensore

Friedman e Brabant hanno saputo fondere l’obiettivo di quella macchina fotografica che nel gennaio del 1945 ha immortalato la “Figlia di Auschwitz”. Questo è un libro crudele e crudo senza filtri ma è anche una lettura obbligata alla memoria. Di tanto in tanto, la storia viene impreziosita con aneddoti eroici di persone che rubavano il cibo, sfuggivano al nemico e aiutavano i partigiani.

Un libro forte e diretto come un colpo in pieno viso, diario del giorno prima e del giorno dopo l’ Olocausto. I sopravvissuti alle brutture della follia umana in cerca di un posto nel mondo dove unire passato, presente e futuro. L’autrice viaggia molto, visita e vive in diversi paesi; la guerra le fa compagnia molte volte, troppe. Nonostante ciò la speranza scorre nelle vene insieme alla consapevolezza che deve rendersi portavoce dell’abominio vissuto. Fare riflettere il prossimo sull’importanza dei valori universali come la fratellanza, i diritti umani e suggerire di vivere la diversità come arricchimento.

“Ci legava un senso di fierezza nel superare le avversità, e condividevamo una determinazione a integrarci in una società meravigliosa che ci accoglieva a braccia aperte quando moltissime altre nazioni ci avevano chiuso la porta in faccia.”

Un romanzo di formazione diverso dove il futuro prende forma nella metà dello scorso secolo e la Statua della Libertà accoglie i profughi dei campi di concentramento. Che difficilmente si integreranno ai suoi piedi. Tova e il marito rivivranno nell’apartheid passato e presente intrecciando  i traumi che verranno curati grazie alle associazioni di volontariato dove professionisti aiutano i meno fortunati, speranzosi e  consapevoli che solo insieme si può fare la differenza.

A margine

Questa recensione è lunga perché c’erano troppe parole che dovevano essere spese. Eppure, ho omesso di dirvi alcune cose: ho volutamente evitato di dirvi che questo romanzo non parla di Olocausto in chiave retorica. “La bambina di Auschwitz” rileva la fragilità delle religioni e del credo umano. E non disdegna di condannare tutti gli uomini e le donne che antepongono il razzismo alla solidarietà ed alla uguaglianza.

“La bambina di Auschwitz” passa da “Radici” a Malcom X attraversando la cenere di un  forno, navigando su valigie di cartone. Sempre chiedendosi se siamo tutti figli di un dio minore o di nessun dio.

Da più di 40 anni vengono pubblicate memorie sull’Olocausto, un genere letterario che potrebbe essere chiamato realismo della Shoah. Su questa corrente scivola un vero e proprio diluvio di saggistica e finzione, racconti di memorie vissute da bambini legate all’Olocausto, a volte difficili da distinguere tra oniriche memorie e reali raffiori della mente.

A volte alcuni testi soffrono di un eccesso di immaginazione, raccontando al lettore cose che non avrebbe potuto ricordare un bambino. In questa esondazione di libri sull’Olocausto, quelli con Auschwitz nel titolo amplificano un sovraccarico emotivo da parte del lettore. Sono titoli evocativi e cruenti come: tatuatori di Auschwitz, sarti, sorelle, cantanti librai, figlie e  bambini.

È chiaro, la memoria e la parola Auschwitz vende libri. La piccola Tova ha poco meno di quattro anni quando inizia a vivere l’ incubo dei campi di concentramento. Prima viveva nel ghetto con i genitori che fanno di tutto per restare uniti e proteggersi. Come tutti.

Tova Friedman, con l’aiuto dell’amico Malcolm Brabant, ricostruisce nel dettaglio uno dei capitoli più duri ed agghiaccianti dello scorso secolo: lo sterminio del popolo ebreo. La bambina sopravviverà ma porterà fisicamente e psicologicamente gli strascichi della prigionia e della violenza inaudita vissuta. La liberazione russa fu un nuovo inizio e permise di tessere la trama della recente storia, senza filtri e risparmio di crudeltà.

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