“La ferrovia sotterranea” – Colson Whitehead


Voto: 5 stelle / 5

Vincitore del National Book Award 2016 e del Premio Pulitzer per la narrativa 2017, il romanzo di Colson Whitehead “La ferrovia sotterranea” (“The Underground Railroad”) è tradotto in Italia da Martina Testa per la collana BigSur della casa editrice Sur. È tornato alla ribalta nel 2021 perché è stato la base dell’omonimo adattamento televisivo Amazon, dichiarata una delle migliori dieci serie televisive dell’anno per l’American Film Institute e candidata a molti premi, fra cui l’Emmy Awards e il Golden Globe.

Trama de La ferrovia sotterranea

Nel primo Ottocento si era consolidata negli Stati Uniti d’America una rete segreta di case e percorsi (a piedi, in treno o in barca) che ha aiutato nella fuga moltissimi schiavi: è stato stimato che nel 1850 ha salvato almeno centomila fuggiaschi.

Cora è una schiava di seconda generazione che accetta la proposta di fuggire dalla piantagione del Sud in cui è nata. Colson Whitehead, autore newyorkese di colore, immagina che la difficile fuga di Cora avvenga su reali binari sotterranei e racconta dell’inseguimento da parte del cacciatore di schiavi Ridgeway. Troviamo l’eterna lotta del bene contro il male, i soprusi e la corsa alla sopravvivenza, e, permeante ogni cosa, il diritto alla felicità.

Recensione

Lo stile di Colson Whitehead è scattante e coinvolgente. Ha una presa molto visiva sull’immaginazione, diretta. Non risparmia i particolari delle trucidazioni e allo stesso tempo passa con grande fluidità a scene illuminate di speranza. Personalmente sono stata convinta per tre quarti di romanzo che l’autore fosse una donna, come Cora e come il profilo della bellissima copertina.

“La libertà era una comunità di persone che lavoravano sodo per ottenere qualcosa di bello e di raro”

Con questa rete di Resistenza abolizionista anche i bianchi rischiavano la vita. “La ferrovia sotterranea” riesce a raggiungere più scopi: mettere in luce un’America giusta e generosa, dare dignità agli schiavi e denunciare il male abominevole che veniva perpetrato.

“«Finché uno solo della nostra stirpe subiva i tormenti della schiavitù, io ero un uomo libero solo di nome. (…) Che voi siate qui con noi da anni o solo da poche ore, mi avete salvato la vita»”

Il ritmo procede incalzante per buona parte; solo verso le ultime ottanta pagine viene da chiedersi se alcuni focus e regressioni sui personaggi siano davvero necessari. L’impressione è che non diano davvero un contributo alla storia – a parte, naturalmente, quello su Mabel, la madre tanto cercata e odiata da Cora. Ma a parte questo momento di stanca, ho avuto un’impressione molto positiva di Colson Whitehead e cercherò altri suoi lavori.

Commenti