Il romanzo La madre di Eva, pubblicato nel 2017 dalla Neo edizioni, ha un impatto emotivo molto forte sul lettore e affronta un tema considerato tabù, racconta il calvario che nessun genitore vorrebbe essere chiamato ad affrontare.
Trama
Eva è una ragazza che non si è mai sentita femmina. Fin da quando ha iniziato ad avere la percezione del suo corpo, lo ha sempre sentito sbagliato, ha sempre avuto un istinto in cui quel corpo non trovava espressione.
È la madre di Eva che racconta, che ricorda il lungo, travagliato percorso che ha portato lei e la figlia in una clinica di Belgrado specializzata negli interventi per il cambiamento di sesso. Non le bastano gli ormoni per bloccare le mestruazioni, per ispessire le corde vocali e la sua peluria, per stringere i fianchi, Eva vuole di più, Eva vuole tutto, Eva vuole il pacchetto completo. Quell’intervento è il regalo che ha chiesto per i suoi diciotto anni, dopo quest’intervento, per nulla semplice, per nulla indolore, Eva sarà Alessandro.
Recensione La madre di Eva
Non sappiamo il nome di questa madre, non è importante, non è necessario saperlo. Già dal titolo del suo romanzo, l’autrice ci sta dicendo che questa donna è una figura chiave nel romanzo, ma la sua identità non è così importante, non come quella di Eva. Questa donna racconta come è stato crescere una figlia affetta da disforia di genere, come sia stato traumatico percepire, già da quando era una bambina, la sua diversità nel gioco. Neanche del padre di Eva sappiamo il nome, sappiamo che è stato un padre molto presente, molto vicino alle sue donne. La madre di Eva ci racconta le sue premure con entrambe, ci racconta come la vicenda della figlia lo abbia segnato e cambiato profondamente.
Lei racconta di sé: “sono la staccionata, il muro di cinta, lo steccato entro cui vi muovete. Sono la regola, la disciplina, sono la guida. Io che avrei voluto essere solo acqua da trasportare in mare, sono la terraferma, l’albero forte con le radici grosse a cui tutti state attaccati, dentro le cui ombre vi muovete.” È lei che cerca di tenere testa alla figlia, a impedirle di diventare carne da macello, è lei che ascolta i pareri, le spiegazioni dei medici e cerca di ostacolare il piano già perfettamente congegnato dalla figlia. Questa donna lotta col suo senso di colpa per aver partorito una figlia “nel modo sbagliato”, sente di aver sbagliato qualcosa, cerca nei ricordi dell’adolescente che è stata, una traccia, una deviazione che possa farle capire come è potuto accadere che sua figlia non si senta figlia ma figlio. Lotta con i pregiudizi, con le chiusure che fanno di sua figlia oggetto di scherno da parte dei compagni e di chiunque nel vederla abbia difficoltà nel definirla.
Il padre, invece, si arrende quando capisce che sua figlia non cambierà idea, che è del tutto inutile ostacolarla, ha capito che il risultato sarà lo stesso, la loro opposizione ne renderà solo più difficile e più dolorosa la realizzazione. Il suo rifiuto a un certo punto cessa, diventa complice di sua figlia, accetta le sue scelte pur di renderla felice. Un giorno Eva gli dice: “Io sono già un uomo, papà, io sono un uomo da quando sono nato. Io sono più uomo di qualunque altro uomo perché quello che per voi è scontato, quello che a voi la natura ha dato in sorte, io lo devo strappare con le unghie e con i denti.”
Quando il chirurgo spiega loro l’intervento a cui vuole sottoporsi Eva, lui non riesce ad ascoltare tutto fino alla fine, butta fuori il suo dolore attraverso il vomito. Quest’uomo è lo spartiacque tra le donne della sua vita, con il suo essere mite, diplomatico, comprensivo fa sì che si concedano delle tregue nella guerra che Eva ha vinto già in partenza: i suoi genitori la amano troppo per volerla tenere barricata nella sua infelicità.
Eva ha avuto la fortuna di avere due genitori comprensivi, che per quanto possa essere stato difficile, se non impossibile, si sono messi nei suoi panni e hanno cercato di indirizzarla a prendere le strade meno impervie, ma Eva non cercava scorciatoie, Eva cercava semplicemente sé stesso.
Maddalena è la psicologa di Eva, è uno dei pochi nomi che incontriamo nel romanzo, oltre a quello del professor Radovic, il chirurgo che la opera. L’autrice ha voluto sottolineare le personalità più importanti con l’attribuzione di un nome e forse, mettendosi nei panni di Eva, ha voluto dare un nome soltanto alle persone che lei ha sempre sentito complici nel suo progetto. I suoi genitori, la madre soprattutto, sono stati l’ostacolo più grande in questa battaglia per l’affermazione della sua personalità.
Il linguaggio del romanzo è spesso molto duro. La descrizione dell’operazione, ma ancor prima dei cambiamenti che l’assunzione di testosterone avrebbe prodotto in Eva sono incomprensibili, e, consentitemi il termine senza filtri come il linguaggio spesso usato nel testo, raccapriccianti. Ma sono indispensabili per comprendere come una persona possa decidere di stravolgere la sua vita in questo modo. Leggiamo che Eva vuole farsi asportare oltre al seno, anche la vagina, il medico glielo sconsiglia perché comporta una notevole perdita di sangue, ma lei non vuole sentire ragioni, vuole avere un pene e due testicoli, anche se non ne avrà mai la sensibilità, anche se continuerà a provare piacere come una donna.
Il libro si legge tutto d’un fiato, il ricordo e il racconto all’oggi sono un fiume in piena la cui lettura fa fatica a prendersi delle pause.
Adelaide Landi