“La voce del ghiaccio” – Simone Moro


Voto: 4 stelle / 5

Quarantaquattro anni e quarantaquattro spedizioni alle spalle: è questo il numero magico che ha spinto Simone Moro a scrivere “La voce del ghiaccio”, pubblicato con Rizzoli nel 2012. In particolare, narra della spedizione con cui nei primi Duemila ha concluso la sfida alle cime himalayane nepalesi inesplorate, in un percorso avviato trent’anni prima da una spedizione polacca.

Trama di La voce del ghiaccio

Le spedizioni invernali, la loro organizzazione, le difficoltà, il freddo. E poi ancora: le maldicenze, le piccole invidie, l’ambizione, il senso di competizione. Simone Moro si toglie un bel po’ di sassolini nel raccontarci la sua essenza di alpinista, che sfida gli ottomila metri in inverno.

Il suo modo di narrare sicuramente non è letterario né aulico, ma le premesse sono chiare sin dall’inizio: è lui a scrivere, non si fa aiutare da nessun ghostwriter. Perciò, aggiungo io, dobbiamo considerare che il suo mestiere è un altro, e lasciar perdere lo snobismo.

Se si vuole apprezzarne la lettura, bisogna prendere “la voce del ghiaccio” per quello che è, cioè un reportage. Non ci si deve aspettare nessun climax, colpi di scena o particolari convenzioni narrative. Se un personaggio inizia a tossire, non è detto che stia per morire; se le dita dei piedi gli stanno per andare in necrosi, non avremo riflessioni sulla vita e sulla sua precarietà.

I fatti parlano da soli.

Recensione

Sono partita poco convinta: mai mi sarei avvicinata a un libro su uno sport invernale se non ci fosse stata la Challenge tematica di Goodreads Italia, che ha voluto omaggiare le olimpiadi invernali nel mese di febbraio.

A parte le reticenze e la lontananza dalle mie abitudini di lettura, ci sono degli spunti di riflessione che non mi aspettavo.

Uno su tutti, mi ha stupita l’umiltà con cui devono fare i conti gli alpinisti e le alpiniste che scelgono di affrontare una montagna himalayana in inverno, a -50 gradi centigradi.

Umiltà, sì: perché se lanci questa sfida a te stesso lo fai per ambizione… ma giunto sulla montagna è lei che vince. La montagna non può essere addomesticata: va aggirata. Non la si può convincere né imbrogliare: le si obbedisce. Il “coraggio di rinunciare”, come è anche intitolato un capitolo, deve caratterizzare l’alpinista ambizioso, che deve ritenersi soddisfatto anche se è arrivato a 250 metri dalla cima ma deve tornare indietro perché il sole sta per tramontare e se vuole sopravvivere deve fermarsi.

Questa riflessione da sola vale le quattro stelle del libro.

Commenti