“L’anno che Bartolo decise di morire” – Valentina Di Cesare


Voto: 4 stelle / 5

“L’anno che Bartolo decise di morire” (Arkadia 2019) è il secondo romanzo dell’abruzzese Valentina Di Cesare. L’ho letto in queste settimane perché il Gdl EquiLibro di Pescara lo ha scelto come libro di ottobre.

Trama de L’anno che Bartolo decise di morire

Bartolo, Vito, Giovanni, Roberto, Renzo e Lucio sono amici da una vita. Di ognuno ci viene raccontata la storia con lunghi flashback, ne conosciamo scelte, difetti e pregi.

Uno di loro prende una decisione da cui non si può tornare indietro. I suoi amici non reagiscono tutti allo stesso modo. Qualcuno vorrebbe che semplicemente la vita andasse avanti; qualcun altro regge poco il senso di colpa per non aver compreso e non essere intervenuto in tempo.

Bartolo scorge qualcosa da poter fare adesso, a posteriori, e lo propone agli amici. Sarebbe un atto simbolico, che non cambierebbe la realtà ma forse la migliorerebbe; probabilmente placherebbe qualche coscienza. Nella ricerca di un punto di incontro si insinuano diverse considerazioni sul valore dell’amicizia.

Recensione

Valentina Di Cesare è una penna fine, affezionata alle narrazioni fiabesche come fiabesco è il paese di montagna da cui proviene, Castel di Ieri. Mi ha conquistata il suo primo lavoro, “Marta la sarta” (Tabula fati 2016), di cui esiste una versione teatrale e che oggi è tradotta in Germania. Si trattava di un romanzo frizzante e disincantato; ironico e tenero come la sua autrice.

“L’anno che Bartolo decise di morire” invece ha un ritmo pacato, pochi dialoghi e lunghe spiegazioni. Ci si muove in un’atmosfera fiabesca preventivamente nostalgica, immalinconita ma non appannata da un sentore leggerissimo di irrimediabile. Ha le fattezze di un racconto davanti al caminetto.

“Il vento a volte si alzava già rapido al mattino, muoveva le foglie e i rami con rumore di ventagli e trasportava via le fronde delle piante sui balconi”

È particolare la figura del maestro Nino, che si pone come detentore della verità e che scherzosamente mi sono figurata come il nonno di Heidi. Il maestro Nino è un canonico vecchietto che fa fatica a muoversi ma è sempre pronto a dispensare consigli. Non smette mai di tirare la morale, eppure non riesce a sollevare fastidio nel lettore perché il suo è un affetto commosso.

È chiaro che lui vede nei sei amici ancora i bambini delle elementari che ha conosciuto.

È alla loro parte fragile, che parla. Una parte fragile che sopravvive nell’adulto e che sul più bello riesce a mandare in frantumi valori e certezze.

Ne “L’anno che Bartolo decise di morire” vediamo come le persone riescano a costruire le loro vite su impalcature precarie senza accorgersene e come giganteschi castelli di carta riescano, alla fine, a frusciare giù.

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