“Le lettere da Capri” – Mario Soldati


Voto: 5 stelle / 5

“Le lettere da Capri” è un romanzo di Mario Soldati che ha vinto il Premio Strega del 1954. Ho letto l’edizione Mondadori del 1961, che è stata epurata di un capitolo sulla storia di una certa Checchina ascoltando i consigli di altri scrittori, tra cui Giorgio Bassani. Dal 2018 è disponibile in edizione Bompiani.

Trama di Le lettere da Capri

Siamo a Roma, la seconda guerra mondiale si è conclusa da pochi anni. In una sorta di autofiction, l’autore racconta di aver incontrato un suo vecchio commilitone, Harry, e di aver conosciuto tramite lui la prostituta Dorothea. Il suo amico ha bisogno di soldi e Mario Soldati gliene dà, sperando di venire ripagato con un’avventura con la donna.

Harry ha bisogno proprio di un lavoro e gli fa avere il dattiloscritto di un possibile soggetto per il cinema, in cui racconta la storia della sua doppia vita, divisa tra la moglie Jane e l’amante Dorothea. Con colpo di scena finale, che ruota intorno alle lettere del titolo.

“Perché noi vogliamo sì perderci, ma poco a poco, vilmente, illudendoci, dicendoci via via che continuiamo a salvarci”

“Le lettere da Capri” ha una struttura a cornice e ha praticamente tre narratori in prima persona. Inizia con il punto di vista dell’autore e continua con il punto di vista di Harry, durante la sedicente traduzione del dattiloscritto, che a sua volta contiene la testimonianza della moglie di Harry.

Di cosa parla? Di matrimonio, amore mistico, amore carnale. Innocenza e colpa, tradimento e onestà. Di noia e della continua tensione verso qualcosa di ideale.

Recensione

Mentre leggevo “Le lettere da Capri” non potevo fare a meno di pensare alla continua sensazione di incompletezza che può impadronirsi delle persone e all’impossibilità di guardare il qui ed ora quando si è altrove. I suoi personaggi soffrono delle proprie scelte, quasi inconsapevoli, e sono trascinati dagli eventi.

“Ognuno fa non soltanto il bene; ma anche il male che può”

Al centro delle loro speculazioni c’è la separazione fra l’anima e il corpo, tra la quotidianità e l’eccezionalità. Vivono tutti di desiderio nel suo significato originario, la mancanza di qualcosa; qualcosa che appare sempre migliore di quello che si ha.

Sono criptica? Sì, perché ho trovato nelle rivelazioni della trama, disvelate mano a mano, nelle coincidenze tra le vicende e nelle sue combinazioni, il motivo per continuare a leggerlo e arrivare fino in fondo alle sue quattrocento pagine. Nonostante il tenore della maggior parte di loro sia di sdilinquimento e di analisi introspettiva.

“Mi sentivo nel giusto, mi sentivo nel vero, ed era una sensazione spiacevole, quasi intollerabile, come se mi mancasse l’aria”

L’eterno conflitto tra anima e corpo, tra amore e sesso, viene trattato senza volgarità ma con estremo coinvolgimento psicologico. L’unico adattamento cinematografico esistente, liberamente ispirato a questo libro, è di Tinto Brass (“Capriccio”, 1987).

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