Le ossa parlano di Antonio Manzini


Voto: 4.5 stelle / 5

“Le ossa parlano” di Antonio Manzini (Sellerio 2022) attore, sceneggiatore, regista e scrittore, è l’undicesimo della serie poliziesca dedicata a Rocco Schiavone, avviata nel 2013 dal noir Pista nera.

Per me, il primo incontro con il celebre vicequestore della capitale, trasferito da alcuni anni ad Aosta per pressioni politiche. Di Antonio Manzini abbiamo recensito anche “Ogni riferimento è puramente casuale“.

Trama de Le ossa parlano

La quiete di un comune della Val d’Aosta di poco più di trecento anime viene turbata dal ritrovamento delle ossa di un bambino, sotterrato nel bosco. È un medico in pensione a fare la macabra scoperta durante una passeggiata. L’analisi del terreno, un oggetto particolare miracolosamente intatto e la mappatura di bambini scomparsi in zona permettono alle forze dell’ordine di identificare non solo la vittima, ma anche l’arco temporale di quella che sembra una morte violenta.

Si tratta di Mirko, 11 anni da compiere, un bambino come tanti. Cresciuto solo dalla madre in un ambiente apparentemente privo di fattori di vulnerabilità, integrato sul piano scolastico e sociale. Nella sua stanza: libri di scuola, fumetti, Play Station, poster, disegni di camosci e caprioli.

Rocco Schiavone riapre il caso insieme alla sua squadra, coniugando le risorse più avanzate con i metodi di indagine tradizionali, ben consapevole di quanto sia arduo risolvere un cold case risalente al 2008. La sensazione è che il piccolo Mirko poco prima della scomparsa aspettasse qualcuno all’uscita di scuola: ma chi?

Ha così inizio un lavoro certosino, spesso frustrante, dai risvolti inaspettati, buchi nell’acqua e depistaggi.

Rilettura di tutti gli incartamenti relativi alla scomparsa di Mirko, individuazione di incongruenze o nuove piste soprattutto dall’analisi delle telecamere di sorveglianza. Tracciamento dell’attività di pedofili locali già schedati. Collazione di alibi e testimonianze degli adulti accudenti entrati in contatto con il bambino.

Ma per Rocco e i suoi collaboratori la fase più difficile, non solo sul piano tecnico, è inabissarsi nei labirinti metamorfici del dark web, il mondo ipogeo dove prospera, famelica ed elusiva, l’attività di pedofili di cui è impossibile tracciare un identikit:

Una massa grigia di insospettabili, senza occhi né volto, un corpo confuso, nebbioso, senza forma. Tutto e niente.》

La svolta risolutiva giunge da Ivrea. La città non ha i colori del carnevale, bensì l’anonimato della fabbrica Olivetti trasformata in un museo. E da un fiore di misteriosa bellezza che già, lo dice il suo nome, affascinò gli antichi Greci.

Recensione

Penso che “scavare” sia il termine più adatto per riassumere questo poliziesco dall’ambientazione inusuale e discreta tra Aosta e Ivrea. Non solo nell’accezione più ovvia riguardo la ricerca della verità investigativa. Infatti i personaggi scelgono di misurarsi con qualcosa che hanno voluto o dovuto occultare prima di tutto a se stessi, a cominciare dal protagonista.

Rocco Schiavone fa ancora i conti con la scomparsa della moglie Marina. Malgrado la vendita del loro attico, non è davvero pronto a lasciare il passato ovvero a ‘incontrare l’assenza’, espressione che rubo allo psichiatra Massimo Recalcati. Intanto Rocco, parlando ad alta voce, rimpiange l’occasione mancata di un figlio anche se lui, che non è padre, cerca di essere il papà di terzi.

Al suo fianco troviamo una giornalista ed un’ ispettrice di polizia: lo spazio mentale tra loro si dilata e contrae in un immobilismo emotivo che appare irreversibile.

Ci sono gli amici. In questo caso per il vicequestore trasteverino “scavare” significa capire fino a che punto è disposto ad archiviarli dopo il peggiore dei tradimenti. Oppure significa semplicemente cercare di “tirare fuori” dai guai una persona cara.

Infine, per l’amico in difficoltà, “scavare” non significa forse accettare di avere scelto la strada sbagliata?

Poi ci sono quelli che non scavano. Non vogliono vedere l’orrore che sanno di trovare.

Rilievo conclusivo

È indubbio che la malinconica e disincantata normalità di Rocco Schiavone sia la chiave del suo successo. Eppure non sono stata completamente conquistata dal vicequestore in loden e Clark.

Che l’attore Marco Giallini della trasposizione televisiva abbia assorbito il personaggio letterario?

Per fugare ogni dubbio non mi resta che leggere un altro episodio della serie ideata da Antonio Manzini.

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