“Ogni riferimento è puramente casuale” – Antonio Manzini


Voto: 5 stelle / 5

“Ogni riferimento è puramente casuale” è una raccolta di sette racconti edita da Sellerio, dello scrittore Antonio Manzini. L’autore mostra in maniera sagace e cruda, senza rinunciare all’ironia, il mondo che ruota attorno ai libri, fatto di scrittori e editori, ma anche di critici letterari, librai, lettori e sognatori e di come purtroppo ogni cosa sia corrotta dal marketing e dal raggiungimento del profitto, a discapito della qualità stessa che un’opera dovrebbe offrire. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “Vecchie conoscenze” e “Le ossa parlano“.

Recensione di Ogni riferimento è puramente casuale

Il primo racconto è quello più adatto ad aprire la raccolta e dove ogni lettore, un po’ sognatore, può immedesimarsi, poiché il protagonista è uno scrittore esordiente costretto a sbattere la faccia contro la cruda realtà che ne distrugge i sogni di gloria.

Il protagonista si dimostra un uomo colto e incredibilmente ingenuo, il quale crede di poter considerarsi uno scrittore già affermato e che la strada al successo sia ormai segnata. L’ingenua contentezza viene presto sostituita dall’amarezza e dalla certezza di non essere in grado di percorrere invece una strada in salita.

Ciò che mostra Manzini è pertanto uno scrittore al suo esordio, che non trovando subito il successo sperato, molla la presa e abbandona il proprio sogno.


copertina "ogni riferimento è puramente casuale"

Il secondo racconto contenuto in Ogni riferimento è puramente casuale vede per protagonista un critico letterario arcigno e fin troppo deluso, alla costante ricerca dell’arte, di quel libro che possa considerarsi quantomeno decente, ma si imbatte continuamente in storie banali, senza senso, che non hanno nessun impatto sul panorama culturale. Messo alle strette e costretto a scrivere una critica positiva su un romanzo pietoso, il critico riuscirà a mettere in atto uno stratagemma per accontentare l’editore a caccia di prodotti commerciali e mantenere, al contempo, intatta la sua integrità.

Qui Manzini, sempre con grande ironia, porta alla luce la triste verità sulla quale un’opera, per essere vendibile, non necessità di qualità ed eccellenza, perché basta una critica positiva per influenzare i lettori.


Il terzo racconto vede protagonista Gabriella Foti, una editor disillusa e stanca, tanto abituata a scendere a patti da farsi trascinare dal suo capo a commettere dei crimini pur di salvaguardare il guadagno e la rispettabilità della casa editrice, a discapito di valori e ideali che dovrebbero esser guida di ogni editore e di ogni essere umano.

Il racconto è certamente il più crudo e, per questo, il più interessante, che mette a nudo il duro mondo dell’editoria, presentandola sia traditrice, sia vittima. Traditrice dei valori che dovrebbero muoverla, traditrice verso l’obiettivo di pubblicare opere di qualità e guidare scrittori meritevoli nella tortuosa strada al successo e al riconoscimento; d’altra parte è anche e soprattutto una vittima, poiché viene dirottata dalla retta via dall’arroganza di aspiranti scrittori, dalla mole di lavoro ingestibile, dai continui manoscritti che giungono e che non potranno essere valutati adeguatamente e dalla scarsità del guadagno una volta pubblicata un’opera, specie se di un esordiente.

E qui Manzini sottolinea un concetto già sentito e ripetuto, ma purtroppo drasticamente vero: tutti scrivono, nessuno legge.

Nel racconto, pur impegnato, non manca mai l’ironia, accentuata in particolar modo dal fatto che l’autore, nel descrivere i personaggi, non esiti ad accennare al loro abbigliamento firmato e ai costosi accessori che sfoggiano con orgoglio.

Qui il marketing non l’ha vinta solo sulla qualità dell’opera e l’onestà dell’editore, ma anche sull’umanità delle persone.


Il quarto racconto è uno dei più ermetici e liberamente interpretabili, dove il protagonista è uno scrittore ritiratosi in montagna, forse non più capace di scrivere e inventare, ma che attende tuttora il riconoscimento che merita. Lo ottiene quando gli giunge una lettera della Mondadori, dove felicemente lo si informa che il suo racconto verrà inserito sui Meridiani, rivista assai prestigiosa. L’ironia sta nel fatto che lo scrittore, proprio quando ritrova la gioia e la voglia di vivere, si rende conto invece di essere già morto, tanto è vero che tutti gli scrittori pubblicati sui Meridiani sono da tempo deceduti.

Si potrebbe interpretare come un uomo che solo alla morte ottiene l’eterno successo oppure, dato che lo scrittore del racconto era già affermato, vincitore di premi e autore di best seller, si può considerarlo come un protagonista perennemente insoddisfatto che, inevitabilmente, solo dopo la morte ottiene l’immortalità dell’artista.


Nel quinto racconto di Ogni riferimento è puramente casuale il protagonista è un libraio che cerca di mandare avanti la propria attività, suo sogno di bambino in contrasto con le molteplici difficoltà e le grosse spese alle quali ogni libraio deve far fronte.

Il racconto è il più dolce, con un finale anche stucchevole, ma l’autore non rinuncia neppure qui all’ironia che accompagna la sua penna e, se nel terzo racconto presenta in maniera tragica il mondo dell’editoria, in questo racconta in maniera comica i problemi che si creano nell’aprire e poi portare avanti una libreria, dove ovviamente l’amore per i libri non basta.


Il sesto e penultimo racconto è assai ironico e scherzoso, poiché mostra uno scrittore giunto finalmente alla fine del suo libro, smarritosi però nell’arduo compito di inserirvi i ringraziamenti. Le persone da ringraziare sono troppe, persone a lui care o che lo hanno aiutato e ispirato, che lo scrittore si sente in dovere di citare.

Il racconto non è altro, pertanto, che una lunga sequela di ringraziamenti, dove alla fine il lettore, assai divertito, si sentirà un po’ preso in giro dallo stesso autore.


Il settimo racconto che conclude l’opera, trova la sua voce narrante in un avvocato che accusa uno scrittore di aver illuso una donna, autografandole un libro con una frase lusinghiera e inducendola così a illudersi e a cambiare radicalmente la sua vita e rinunciare alla sua famiglia, per poi scoprire che la stessa dedica fosse stata scritta per altre ammiratrici, di cui lo scrittore facilmente dimentica i volti.

Questo è certamente il racconto più ermetico e fors’anche il più ironico con la quale Manzini ci lascia e chiude la sua antologia.

Mattia Vanfiori

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