Quante volte ho riletto questo libro? Tutte quelle in cui ho voluto sorridere, immergermi in un mondo passato, rintracciare parole del dialetto veneto ormai introvabili: il tutto inserito in uno stile letterario irreprensibile.
L’ironia di Meneghello inizia già nel titolo dove quell’ablativo latino ” a malo” non si riferisce alle parole del Padre Nostro, ma proprio al paese, Malo, in provincia di Vicenza. Il periodo è quello dell’infanzia e dell’adolescenza dello scrittore (nato tra le due guerre), con qualche salto in avanti ogni tanto, quando, da adulto, ritorna al luogo natio.
E’ tutt’altro che un libro “vecchio”: lo considero un classico senza tempo, anzi moderno è lo sguardo che analizza la vita di quei tempi.
Secondo le note biografiche, solo dopo essersi stabilito in Inghilterra, Meneghello è riuscito ad osservare con il giusto distacco e con spirito critico quel mondo e così ha lasciato, a noi fortunati lettori, delle immagini uniche che hanno caratterizzato quel periodo.
“Libera nos a Malo” non si può riassumere: la storia dell’autore non segue un ordine cronologico; la si ricostruisce con la lettura dei fatti, con la descrizione dei personaggi, con i rituali che segnavano la quotidianità.
C’è tanto dentro: la nostalgia disincantata per una lingua che è stata viva, efficace e che ora è andata perduta ormai in modo irrimediabile, la descrizione di un mondo dove la chiesa dettava condizioni su ogni azione umana, l’interpretazione fantasiosa e spassosa che dei precetti e delle formule latine sapevano farne i più piccoli, i rapporti tra coetanei dove la lotta era una cosa fisiologica, salutare. E c’è molto molto altro, raccontato con vera maestria, con la padronanza della lingua italiana che hanno i grandi scrittori.
Loretta