
In circostanze eccezionali quanto varia il peso specifico delle nostre responsabilità? È lecito scendere a patti con la Storia? Coraggio e integrità morale sono valori assoluti? Questi sono alcuni degli interrogativi con cui si misura “L’oro e la Patria. Storia di Niccolò Introna, eroe dimenticato”, una monografia del giornalista Federico Fubini (Mondadori 2024, Collana Strade blu, p. 206).
Inviato e editorialista del “Corriere della Sera”, di cui è vicedirettore ad personam, Fubini si occupa di economia. Fin dall’esordio nella saggistica con “Noi siamo la rivoluzione. Storie di uomini e donne che sfidano il loro tempo” (Mondadori 2012), racconta le storie di chi tra crisi, globalizzazione e repentini cambiamenti da essa innescati non rinuncia a portare avanti la propria causa. Anche Niccolò Introna nel momento più buio per il nostro Paese portò avanti la sua come fedele servitore dello Stato. Il libro spiega come e a che prezzo perché questa è:
“Una storia da scrivere e da decifrare per le sue onde a bassa frequenza, invisibili eppure sensibili, che continuano ad arrivare fino a noi“
Pertanto viene ricostruita la vicenda delle riserve auree della Banca d’Italia consegnate ai nazisti all’indomani dell’armistizio e parzialmente recuperate dopo un lungo iter. Viene messa in luce la rete di appropriazione indebita di fondi pubblici sostenuta dal regime fascista, così capillare da assumere i connotati di una cleptocrazia sistemica.
All’epoca dei fatti ai vertici dell’istituto di credito ci sono Azzolini e Introna, speculari per background, formazione, temperamento, capacità, rapporti con il potere. Non stupisce si detestassero. Il primo è governatore della Banca d’Italia, il secondo il suo vice di cui tutti riconoscono la straordinaria competenza:
“Introna serviva, perché le figure efficienti servono sempre all’autoconservazione dei sistemi complessi. Ma allo stesso tempo bisognava tenerlo sotto tutela. Dunque “vice”. Avevano inventato per lui un rango che non esisteva prima perché andava raggiunta la quadratura del cerchio: quell’uomo non poteva far parte delle élite, ma non poteva nemmeno esserne espulso“
Quali ragioni lo condannano a questa terra di mezzo? La freddezza verso il fascismo, l’adesione alla Chiesa valdese, i rapporti con associazioni protestanti d’oltreoceano, tanto che l’OVRA lo teneva sotto osservazione. Vale la pena aggiungere un carattere scontroso, poco incline a servilismo e compromessi che generalmente poco giova quando a fare da padrone è l’opportunismo politico. La sua etica del lavoro di stampo calvinista è un’arma a doppio taglio non solo durante il fascismo, ma anche nell’Italia dell’immediato secondo dopoguerra di cui Fubini offre una lettura gattopardesca.
Trama di L’oro e la patria
Tra le opere realizzate nella Roma umbertina dall’architetto e ingegnere Gaetano Koch, spicca l’omonimo palazzo tra il Quirinale e Palazzo Venezia, sede della Banca d’Italia. Questo imponente edificio neorinascimentale in pietra bianca è lo scenario di una vicenda delicata e complessa.
Mettere al sicuro le riserve auree custodite nei caveau detti “sacrestie” diventa una priorità dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il Paese è allo sbando: da un lato la Resistenza, dall’altro l’occupazione tedesca, avanzano gli Alleati, la rappresaglia fascista infuria e Roma non è più la sede del governo. Specialmente quando il 20 settembre si presentano a palazzo Koch alcuni emissari del Reich. Sono in disaccordo su metodi e beneficiari – ciascuno risponde a un superiore diverso -, ma concordano sulla consegna dell’oro. Ignorano che nelle ore precedenti qualcuno ha già provveduto a metterlo in salvo. È Niccolò Introna.
Insieme al cassiere centrale Fabio Urbini ha pensato di nascondere metà dello stock aureo nell’intercapedine corrispondente ai quattro lati dell’edificio, progettata dallo stesso Koch a difesa dei caveau, una sorta di corridoio largo tre metri. Altre soluzioni presentavano troppi rischi, non è uno scherzo spostare 120 tonnellate di lingotti, 12 chili ciascuno. A favore dell’iniziativa il fatto che i tedeschi non fossero a conoscenza del suo ammontare complessivo (il dato pare controverso) e la relativa facilità di un intervento di restyling alla documentazione contabile per appianare difformità. Dopo una notte di lavoro indefesso svolto da maestranze fedelissime piomba il dietrofront: Azzolini dà il contrordine di riportare l’oro nei caveau e consegnarlo ai tedeschi.
Di certo Azzolini non aveva fatto smurare il nascondiglio per furore ideologico. Aveva paura. Un terrore che accieca, che non fa pensare. Per tutti i mesi seguenti avrebbe cercato di limitare le conseguenze del suo atto, ma ormai era tardi
Dopo la Liberazione Azzolini fu accusato di alto tradimento. Quanto all’Introna, fu condannato a una sorta di damnatio memoriae per vicende che il saggio fa uscire fuori dal cono d’ombra per la prima volta. Le sorprese non mancheranno.
Recensione
La decisione di nascondere e consegnare l’oro è il cuore della disamina supportata da una documentazione a prova di bomba. Oltre a fonti archivistiche, bibliografiche, rapporti della polizia politica fascista, atti processuali, note olografe, l’autore ha attinto a testimonianze inedite e alla miniera di ottantamila pagine di carte personali dell’Introna. Uno zibaldone di appunti, lettere, telegrammi, riflessioni, rapporti riservati quali solo un individuo meticoloso come lui poteva conservare. Lo stile è scorrevole anche nelle parti più tecniche su economia, finanza, sistema bancario.
“L’oro e la patria” di Federico Fubini è una lettura avvincente, documentata che senza derive agiografiche ricostruisce la parabola umana e professionale di Niccolò Introna, un eroe dimenticato dalla Storia.