“Le sorgenti della Moldava” – Petra Klabouchová


Voto: 5 stelle / 5

“Le Sorgenti della Moldava” (Edizioni Le Assassine 2025, traduzione dal ceco di Raffaella Belletti, 379 p.) segna il debutto narrativo di Petra Klabouchová. All’attività di giornalista e scrittrice affianca quella di manager di gruppi rock, dividendosi tra Italia, Stati Uniti, Repubblica Ceca.

Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.

È un romanzo corposo e avvincente ispirato a fatti realmente accaduti, che abbina noir e saggistica storica, fiction e  documentazione su testimonianze e materiale d’archivio. Un viaggio a ritroso nel buio del secondo Novecento tra misteri, omertà, responsabilità, colpe e capri espiatori. Tanto che l’etichetta di poliziesco appare riduttiva. Al netto dei numerosi spunti interpretativi, lo specchio da tiro inquadra la complessità di confrontarsi con un passato che sanguina ancora. 

Trama de Le sorgenti della Moldava

A Františcov, un villaggio agonizzante nei boschi della Šumava (la Selva Boema) viene rinvenuto il cadavere di una ragazzina, forse morta assiderata durante una tempesta di neve. Però lo staging riporta alla memoria una Marcia della Morte, uno di quegli spostamenti di prigionieri dai lager situati nell’odierna Polonia verso l’interno del Reich, mano a mano che i sovietici penetravano in Germania. L’impronta antisemita dà al caso una risonanza nazionale vantaggiosa per molti. Un ispettore coglie l’opportunità per rinverdire  carriera e matrimonio in caduta libera. Una giornalista d’assalto ne approfitta per scalare l’olimpo del giornalismo  sensazionalistico. Gli empori in disarmo si rianimano in forza del turismo sullo scenario del macabro ritrovamento, che ha i contorni di un delitto. Ma la gente del posto, compatta come una falange oplitica, non collabora alle indagini che fanno emergere vecchie ferite e scomode verità: 

“I locali non vogliono saper nulla di quello che succedeva alle Sorgenti della Moldava sotto i tedeschi e nemmeno quello che ci facevano i comunisti. Per la gente del posto il sottosuolo di Františcov è tabù

Quando le ramificazioni dell’inchiesta convergono sul colpevole perfetto. Quando il lettore attende i colpi di scena da inverted crime basato sulla ricostruzione a posteriori dell’omicidio, una catena di plot twist ribalta tutte le carte in tavola. L’esito è sorprendente. 

Recensione

Originaria di Prachatice, una città nella Boemia meridionale vicino al triplo confine tra Cechia, Germania, Austria, l’autrice dispone di un ottimo senso dello spazio storico e geografico. Ciò le consente di dare profondità a un romanzo in cui il dramma investigativo è l’aspetto più appariscente a saldare diversi piani narrativi, tematici, temporali. La domanda è: perché il Male si è riaffacciato in un territorio già insultato dalla Storia?

La vera protagonista è la Selva Boema con le sorgenti della Moldava celebrate dai Romantici e da Bedřic Smetana nella celebre sinfonia. Qui però mancano il gorgheggio di flauti e i quadretti campestri ad accompagnare il corso del fiume. E se l’orrore c’è, non è quello del sublime in relazione alla potenza della natura. Infatti la selva nasconde un sommerso di orrori compiuti dall’uomo così vivi, che i locali si sono imposti l’oblio. Forse un campo di concentramento che avrebbe ospitato un’élite di prigionieri russi. Oppure la fabbrica segreta di Hitler costruita all’avanzata dell’Armata Rossa nei sotterranei della montagna Stolová Hora, dove si pensava fosse custodito un tesoro nazista.

In omaggio alla suspense che non dà un attimo di tregua e “agli avvenimenti reali incisi a lettere di sangue sulla spianata della Selva Boema”, il bosco mantiene la sua ambivalenza di luogo fisico e simbolico, di dannazione e rifugio. Qui si nasconde il Male. Ci si nasconde qui quando fuori c’è il Male. In chiave psicanalitica la foresta ricorda la punta dell’iceberg di Freud perché la parte che non si vede, una rete di bunker, gallerie, fosse comuni, traffici clandestini dove troppi hanno trovato la morte, diventa il rimosso di una comunità intera.

Il prezzo della verità

A sottolineare quanto il fardello di ieri continui a gravare sull’oggi, ci pensano i cambi verbali tra passato e presente nello stesso periodo sintattico. La scrittura è forte e precisa quanto i fatti narrati e la psicologia del cast. Il lessico si raccoglie intorno al campo semantico della memoria, del ricordo, dello scavo, letterale e metaforico, per scoprire o sigillare una verità la cui natura cambia in base agli interlocutori.

L’ispettore vuole inchiodare l’assassino della piccola Terezie per motivi personali. Il fatto che sia l’unico senza nome proprio dimostra un’ identificazione totale tra personaggio e ruolo. E non è sempre un pregio. “Ispettore”, “capitano”, lo conosciamo così. Oppure “marito” in senso spregiativo. Ai media interessa sbattere un mostro in prima pagina, perché l’audience è l’unica verità. Altri scavano nella rete sotterranea a caccia di preziosi, di cui tuttora si favoleggia, perché la loro verità è il denaro.

Quanto alla comunità che nasconde odi atavici tra cechi e tedeschi, lasciare sepolto il passato dove si trova diventa un imperativo. Ma nella concretezza di una vita agra – i cechi hanno subito il totalitarismo nazista e comunista; i tedeschi sopravvissuti al conflitto sono stati schiacciati dal disprezzo generale – è possibile dimenticare?

Un analogo relativismo caratterizza i personaggi: ambigui, sfaccettati, così fedeli a una causa da tradirne un’altra. Vittime, eroi, sospettabili nello stesso tempo e in continua evoluzione. Efficace il contrappasso etico e psicologico assegnato alle malattie di tre figure chiave. Una cavalcata storica in un’area tormentata e contesa. Un romanzo mozzafiato.

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