Lungo un sentiero friabile

L’automobile affronta l’ultima curva: la nostra meraviglia – la mia e quella del mio compagno di vita – scagliata contro i pinnacoli che spezzano l’azzurro perfetto del cielo, smacchiato da qualsiasi nuvola, è già pronta a rinnovarsi.
Eccole, le nostre montagne!
Di fianco alla strada, il mosaico dei verdi, da quello smeraldo pressoché uniforme del lago a quello intenso, mutevole, dei larici e degli abeti. Lo sguardo segue le ondulazioni del paesaggio, indugia là dove il bosco s’interrompe per cercare i sentieri percorsi più volte. Ma le inevitabili, all’apparenza impercettibili modiche apportate dal tempo in ogni luogo, e quindi anche quassù, fanno sì che si stenti a rintracciarne la fisionomia.

Ne è passato di tempo dall’ultima volta in cui siamo stati in questo paese delle Dolomiti in cui anche le ore risicate di un fine settimana, strappate al lavoro, erano sufficienti per ossigenarci. Una diserzione dai problemi: da villeggianti chiedevamo solo di farci contagiare dalla calma del lago, lasciarci avvolgere dai panorami e naufragarci dentro.
Stamattina però siamo qui: vogliamo dare un saluto ai conoscenti – Piera e Costantino – che, per svariati anni, ci affittavano l’appartamento in cui soggiornare.
Conoscenti, appunto. Amicizia è una parola complessa e la montagna ha le sue leggi: devi condividere fatiche, sporcarti le mani insieme, per essere considerato amico. In fondo, pur essendoci frequentati per tanto tempo, entravamo nel mondo di queste persone da villeggianti: arrivi, villeggi, essendo turista fai parte di un un’invasione di cavallette e te ne torni via dopo aver solo sfiorato la vita di chi stanzia.

La prima volta in cui telefonai rispose Piera; alla mia richiesta se l’appartamento fosse ben riscaldato – andavamo con una bambina piccola – la risposta fu brusca, quasi risentita, come se noi comodi abitanti della collina, con la pianura a disposizione, mettessimo in dubbio l’accoglienza della gente di montagna. Nel tono della voce quella ruvidezza che avrei imparato a conoscere: parole poche, ma incisive, come se aggiungere qualcosa in più fosse tempo perso.
Però ogni volta trovavamo la stube accesa con il calore benevolo che si avvertiva ancor prima di mettere piede nelle stanze, la legna rifornita, sparsi per casa tutti gli accorgimenti affinché al nostro villeggiare fosse assicurata ogni comodità.

Quella di Costantino e Piera appariva come un’inossidabile, salda condivisione di vita. Avevo la sensazione che fosse Piera, donna di una solidità paragonabile al suo nome e al suo ambiente, a tenere le redini di tutto, dai lavori nel bosco a quelli richiesti dal laboratorio di famiglia.
La prima volta che la vidi fui colpita dai suoi occhi, zaffiri scintillanti e magnetici: ricordavano un campo di lavanda o il mare nelle sue molteplici sfumature. Mai mi sognai di dirglielo: la mia sarebbe apparsa come una farneticazione. Il mare: un mondo per gente che ha tempo da perdere!
Quando arrivavamo, dopo i saluti di rito, Piera non indugiava più di tanto con noi, richiamata dalle innumerevoli occupazioni. Tra me e lei, in particolare, poche le confidenze: il mio cercare le sfumature andava a sbattere contro la sua concretezza, il suo spiccato senso pratico.
Sebbene ci vedessimo di frequente non passammo mai al tu, frenate da un riserbo rispettoso, fuori dai tempi odierni.

Ed ora, al suono del campanello, ci apre Costantino; l’euforica leggerezza di villeggianti con cui abbiamo intrapreso il viaggio stamattina si inibisce di colpo nel vedere Piera dietro di lui, nell’ombra, l’espressione remota, il corpo rigido, le braccia lungo i fianchi.
Quando ci avviciniamo, rimane spiazzata; nel suo sguardo spaesato, riconosco purtroppo la malattia che irrompe, spacca gli equilibri, un masso che acquisterà velocità, si trasformerà in valanga. Ad un certo punto il mio viso trova una collocazione in qualche posto della sua memoria: gli occhi, circondati da occhiaie e innaturalmente grandi sul viso smagrito, si illuminano.

Costantino non fa nessun cenno per spiegare cosa stia succedendo: la lascia parlare, affrontare i discorsi con difficoltà, instaurare battaglie con le parole.
Mentre cerchiamo un gancio, l’appiglio di un ricordo, a trarci dall’imbarazzo è l’arrivo del loro cane; Piera inizia ad accarezzarlo, chiedendo ossessivamente come si chiami. Costantino glielo ripete senza scomporsi; non scuote la testa, non ci guarda per chiedere comprensione: nessuna parola da parte sua per spiegare che la vita di lei sta sbeccando la sua. Il tono rasserenante della voce con cui le si rivolge ci fa percepire che lo sconvolgimento ha sbattuto contro uno strato impenetrabile, cementificato in decenni di vita.

Chiedo a Piera della baita costruita in cima alla montagna cui, insieme al marito, aveva dedicato tanto lavoro ed energia: s’illumina, sembra una bambina, gli occhi azzurri sprizzano una ritrovata, temporanea vitalità. Abituata ad usare le mani in tutti i lavori possibili, ora nel suo meccanismo inceppato le muove scompostamente, quasi ad affidare ad esse la fatica di recuperare i ricordi, le agita accompagnandole con le parole: di qua, di là. E quando pianta i suoi occhi nei miei, ho la sensazione che riconosca nel genere femminile una vicinanza mai mostrata prima.

Il nostro tempo da improvvisati incursori sta finendo; con una lentezza faticosa, ci congediamo da Piera e dalla sua assurda normalità, da Costantino e dalla sua abnegazione nel tenere per mano quel palloncino dal filo sfilacciato.

Fuori i nostri pensieri sono uno stato di allerta.
Non osiamo scalfire questo silenzio in cui si annidano le paure: mettiamo una sorta di vigilanza alle parole che sarebbero agguati, liquido infiammabile. Vorremmo lasciare dormiente una sofferenza sfiorata, sentirci soltanto dei villeggianti, rifugiarci nella bellezza del paesaggio: i prati illuminati dal sole sono ancora pieni di verde, solo i faggi hanno assunto il tocco variegato dell’autunno in arrivo.

Le montagne sono là, uguali a sempre.
Apparentemente solide come la tenacia di lui.
Col rischio di sgretolarsi come la vita di lei.

Allora alziamo lo sguardo più in su, al di sopra del profilo arruffato del bosco e delle cime, scogli a frastagliare le onde del cielo, rincorriamo le nuvole che stanno assumendo forme stravaganti, sfilacciandosi e ricompattandosi.
Respirare il conforto dell’essenziale non basta però a spazzar via quel dolore sottile, la sensazione di non poter sottomettere il susseguirsi del tempo con le minacce nell’espropriare forze e dignità: le immagini di Piera e di Costantino continuano a rotolarci in testa.
Così facciamo buona presa l’un l’altro, sostenendoci nel cammino in questo pezzo friabile di sentiero.

Commenti