Facchino sarà lei
Alle 7 del mattino, Carl’Alberto entrò nella stazione di Roma e gridò:
«Facchino!»
Un facchino si voltò risentito.
«Dice a me?» fece. «Facchino sarà lei.»
«Ma non è lei che porta i bagagli?»
«Ah, è per i bagagli? Credevo che m’insultasse.»
«Ma le pare?»
Il facchino l’accompagnò al treno di Napoli.
«Veramente» osservò il giovane «io debbo andare a Firenze.»
«Salga!» disse il facchino.
«Sempre prepotenze,» mormorò Carl’Alberto prendendo posto nel treno di Napoli. «Bisogna far sempre come vogliono loro.»
Così comincia il romanzo di Achille Campanile Ma che cosa è quest’amore? Il celeberrimo facchino sarà lei dell’incipit lascia presagire che possa anche non essere un romanzo d’amore tradizionale. Perché in fondo, la domanda perfidamente insinuata dal titolo a null’altro serve ad attirare il lettore, ingannandolo. Ma che bello un romanzo d’amore, pensa. Invece si trova davanti a un interrogativo che rimane senza risposta.
Metafore ferroviarie
Rimanendo in ambito ferroviario, la scrittura di Achille Campanile si comporta come un treno che all’improvviso devia dal percorso consueto finendo da tutt’altra parte. Non deraglia, eh. Prende solo il binario dell’assurdo, del nonsenso. Spiazzando il viaggiatore che, tutto sommato, non può evitare di riderne, contrariamente a quanto accade nella vita di tutti i giorni.
Il romanzo è una parodia garbata e sottile, giocata sull’accumulo di gag verbali e situazioni paradossali. Prima fra tutte quella del surreale dialogo fra viaggiatore e facchino. La quale rivela la tecnica scrittoria tipica di Campanile: rovesciare la realtà decostruendo il linguaggio e attribuendo alle parole significati eccentrici.
Amori nati così
La storia d’amore fra Carl’Alberto, giovane dal nome impegnativo e pomposo, e Lucy, è del tutto fuorviante. Viene spudoratamente utilizzata dall’autore come un pretesto per immergere il lettore in un universo folle. Lo popolano facchini suscettibili, innamorati costretti a incontrarsi alla stazione per aggirare l’opposizione dei loro famigliari, decrepiti cavalli parlanti che dubitano di poter ancora svolgere il proprio lavoro, e molto altro ancora.
Il finale, che non vi svelo, è ovviamente inaspettato e in linea con la verve di Campanile.
La sventurata rispose.
Lo sventurato, forse.
Achille Campanile, Ma che cosa è quest’amore?, Milano, Dall’Oglio, 1974.