Il mito del Vampiro ha radici antichissime, di molto antecedenti alla tradizione gotica. Pressoché ogni singola popolazione a partire dal Neolitico praticava specifici rituali il cui scopo era prevenire il ritorno dei defunti, e una delle prime apparizioni letterarie del vampiro può essere trovata nella “Vita di Apollonio di Trania” scritta da Filostrato nel II secolo d.C. In essa si racconta di un episodio in cui il filosofo Apollonio incontra un giovane caduto vittima di una Vampira:
“Perché possiate comprendere meglio, sappiate che la seducente fidanzata è un Vampiro, una di quelle Empuse che il popolo chiama Lamie o Mormolyce. Anche i Vampiri sono attratti dal sesso: ma ancor più amano il sangue e la carne umana, e usano il sesso per intrappolare coloro che vogliono divorare”[1]
Caratteristiche ed evoluzione del mito del vampiro
Bere il sangue delle vittime e divorarne la carne non sono solo un’attività di tipo nutritivo, ma hanno anche una forte connotazione sessuale, tant’è vero che nella maggior parte dei racconti posteriori al Medioevo, la vittima prova dell’atto lo stesso godimento del Vampiro. Il nome con cui veniva identificata la creatura cambia da popolazione a popolazione, ma molte caratteristiche sono comuni: viso pallido e emaciato, capelli folti, labbra gonfie, canini lunghi e affilati. Teme l’aglio, la luce del Sole e i simboli sacri. Tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del Settecento ci fu una vera e propria epidemia di casi di vampirismo in tutta Europa, al punto che vi si interessarono personalità di spicco come Voltaire e Rousseau, e la stessa Imperatrice Maria Teresa inviò medici e professori di corte ad indagare il fenomeno[2]. Esso venne dichiarato pura superstizione fomentata dai preti di campagna, i quali erano ignoranti quanto i loro fedeli. Nel 1819 la figura del Vampiro subisce una trasformazione radicale, in seguito alla pubblicazione del racconto “The Vampyre” di John William Polidori:
“Da povero contadino ignorante, persecutore di vacche e parenti prossimi, frutto di superstizioni nate nei campi, Polidori lo trasforma in figura a tutto tondo, con il prestigio e il vigore di un archetipo. Il suo Lord Ruthven, tenebroso nobile inglese condannato dai suoi delitti a succhiare il sangue dei vivi è – innanzitutto- un aristocratico […] non è un mostro ripugnante, un cadavere animato da una scintilla di vita satanica, che compie azioni disgustose e agisce in modo inconsapevole: al contrario, è un personaggio d’aspetto virile, intelligente e ricco di un fascino sottile e irresistibile […] Infine , non si limita a battere nottetempo desolate campagne picchiando all’uscio dei casolari, ma è perfettamente inurbato, e frequenta con disinvoltura la migliore società del tempo.”[3]
Di quest’opera parleremo nel dettaglio più avanti, ma è importante menzionare come essa ha stabilito il canone per tutte le successive rappresentazioni letterarie del Vampiro, quali “Carmilla” di Sheridan Le Fanu e, ovviamente, “Dracula” di Bram Stoker.
Il fascino della deviazione: simbologia del Vampiro nella letteratura gotica
Ogni società ha bisogno di nemici e/o capri espiatori per poter definire la propria identità, di conseguenza produce “mostri”, i quali incarnano tutto ciò che viene considerato anormale e socialmente inaccettabile. Questo è esattamente ciò che Julia Kristeva aveva definito come “abbietto”:
“[t]here looms, within abjection, one of those violent, dark revolts of being, directed against a threat that seems to emanate from an exorbitant outside or inside, ejected beyond the scope of the possible, the tolerable, the thinkable”[4]
Non c’è posto per ciò che è anormale nella società e questo è il motivo per cui esso viene demonizzato o subito corretto. Se la correzione necessaria non viene effettuata, il soggetto diventa automaticamente una deviazione, un emarginato e, quindi, un mostro. Secondo Kristeva, il modo più comune di rappresentare l’Altro o, secondo le sue stesse parole, “l’aspetto socializzato dell’abbietto” è la corruzione[5]. Poiché l’altro non è normale, è corrotto e quindi spaventoso. Pertanto, i vampiri nella narrativa gotica possono essere letti come l’emarginato, l’Altro, l’intoccabile, l’indesiderato, il deviante e l’abbietto in una società.
L’orrore del Vampiro è sessuale. Esso è l’incarnazione delle ansie culturali intorno alla sessualità, in particolare la sessualità considerata “deviante”. Il suo orrore si basa non solo sulle sue caratteristiche sanguinarie, ma anche sull’intreccio della sua natura cannibale con un fascino che cattura sia il lettore che le vittime. Il morso del vampiro è il suo mezzo di alimentazione e riproduzione; rendendo l’allungamento, la penetrazione e lo scambio di fluidi un luogo comune all’interno dei romanzi che occupa, permette una discussione metaforica del sesso senza menzionarlo:
“the monstrous bodies, especially of vampires, embody homosexuality, and […] Gothic fiction is a representative of ‘homosexual panic’ in a society. The vampire is the monstrous reflection of a homosexual/bisexual that is a threat to every single individual due to their potential to spread their deviation to other individuals of the society. Thus, when the reader sees that the vampire is defeated at the end of a Gothic work, s/he is ensured that the threat is destroyed, and that the norm is restored.”[6]
Tra questi gruppi associati ad uno stile di vita deviante, le lesbiche attirano l’attenzione in quanto persone doppiamente emarginate sia come omosessuali che come donne. Il fatto che siano donne omosessuali le rende doppiamente pericolose per il modello familiare patriarcale, per cui possono essere considerate le più pericolose di tutti i vampiri perché sono doppiamente sinistre e doppiamente letali. Possono semplicemente nascondersi dietro “la debolezza femminile”, il che le rende molto difficili da individuare. Il personaggio di Joseph Sheridan Le Fanu Carmilla è il prototipo di tutte le Vampire lesbiche che rappresentano un grande pericolo per la società:
“Carmilla dramatizes not only fears of lesbianism but the female power that was associated with it, then further terrifying its audiences by placing these dangerous sexual attitudes within the perfect, delicate beauty of a teenage girl. Carmilla is not only the first widely successful vampire novel, but a << metaphor for a host of perceived late Victorian social threats and ills – first among which was concerned with female sexuality and power >> (Costello-Sullivan xx).”[7]
“Carmilla” drammatizza le paure intorno all’omosessualità femminile attraverso la rappresentazione della seduzione di una giovane aristocratica da parte di una Vampira. Le Fanu presenta le tendenze sessuali aggressive di Carmilla come orribili, nel modo in cui è in gioco la vita della protagonista Laura, ma innervosisce ulteriormente il pubblico e i suoi personaggi nel godimento da parte di Laura degli approcci di Carmilla e della sua sessualità repressa.
“Carmilla” ha a sua volta ispirato il più celebre romanzo di Vampiri di tutti i tempi, “Dracula” di Bram Stoker, il quale perfeziona l’utilizzo della figura del Vampiro come simbolo liberatorio delle ansie e repressioni della società Vittoriana in materia di sessualità:
“Dracula è, in effetti, espressione di una sessualità totalmente deviata, vista come Male assoluto e assoluta perdizione. È il seduttore infernale che viola l’innocenza con una malvagità così turgida e totalizzante da essere irresistibile. L’unione con lui non significa soltanto perdita della purezza, ma remissione completa del sé, assorbimento completo nella non-vita dei non-morti, e quindi esclusione sia da questo mondo che dall’altro.”[8]
Il conte Dracula concupisce apertamente il protagonista Jonathan Harker, al punto da scacciare le sue Spose quando tentano di sedurre il giovane per nutrirsene, affermando “Quest’uomo mi appartiene!”. Questo è un chiaro richiamo al romanzo di Le Fanu, in cui Carmilla sussurrava a Laura “Tu sei mia.”[9] Stoker omaggia il suo predecessore anche nella rappresentazione della Vampira in quanto deviazione dalle norme culturali e dai ruoli di genere imposti al genere femminile in quel periodo. Le Spose di Dracula sono infatti sessualmente aggressive e dominatrici, come si può osservare nella scena di tentata seduzione, in cui esse manifestano una sessualità attiva, mentre l’uomo della situazione, Jonathan Harker, è il ricevente passivo. La scena successiva, in cui divorano un neonato, rappresenta invece un simbolico ripudio del connubio femminilità/maternità.
John William Polidori – The Vampyre
Come già accennato, l’immagine del vampiro prima della pubblicazione del romanzo di Polidori era quella di una persona lenta e ottusa di ceppo contadino. L’aristocratico, soave e seducente, personificato dall’immagine iconica di Bela Lugosi come Conte Dracula, risale alla creazione di Polidori. La creazione di Polidori – Lord Ruthven – è a sua volta un esemplare di tipo eroico conosciuto come l’eroe byronico. Ciò che distingue Ruthven tra i grandi eroi byronici della letteratura, tuttavia, è che è il primo: Ruthven era in realtà basato su Lord Byron, poiché Polidori conosceva da vicino il poeta britannico.
“The superstition upon which this tale is founded is very general in the East. Among the Arabians it appears to be common: it did not, however, extend itself to the Greeks until after the establishment of Christianity; and it has only assumed its present form since the division of the Latin and Greek churches; at which time, the idea becoming prevalent, that a Latin body could not corrupt if buried in their territory, it gradually increased, and formed the subject of many wonderful stories, still extant, of the dead rising from their graves, and feeding upon the blood of the young and beautiful.”[10]
L’introduzione di “The Vampyre” pone le basi per una delle motivazioni e degli scopi di Polidori. Fino alla pubblicazione della sua storia, l’immagine del vampiro nella letteratura occidentale era significativamente diversa da quella che è oggi. L’archetipo del vampiro oggi come seduttore byroniano di origine aristocratica inizia con Polidori. La trasformazione dell’immagine inizia con queste informazioni di sfondo. Precedendo “Carmilla” di Le Fanu di mezzo secolo e “Dracula” di quasi otto decenni, “The Vampyre” ha anche rotto con la tradizione vampiresca e ha stabilito quella che sarebbe diventata una convenzione di genere introducendo la sessualità come elemento letterale e metaforico. Lord Ruthven si afferma immediatamente come in possesso di un magnetismo sessuale altamente caricato che viene poi espanso nel regno della metafora, equiparando l’atto di succhiare sangue non solo con la seduzione sessuale, ma anche con lo stupro vero e proprio.
“Aubrey determined to proceed upon one of his excursions, which was to detain him for a few hours; when they heard the name of the place, they all at once begged of him not to return at night, as he must necessarily pass through a wood, where no Greek would ever remain, after the day had closed, upon any consideration. They described it as the resort of the vampyres in their nocturnal orgies and denounced the most heavy evils as impending upon him who dared to cross their path.”[11]
Polidori è stato anche responsabile della reinvenzione del vampiro come “outsider” ribelle, che negli ultimi decenni è diventato un elemento particolarmente significativo. L’aspetto di Ruthven non è particolarmente attraente al punto da attirare l’attenzione sessuale di così tante donne – il suo viso e i suoi occhi sono più cadaverici di qualsiasi altra cosa – eppure nessuno sembra in grado di resistergli. Ruthven è decisamente qualcosa di “Altro” rispetto al resto della società. Questa alterità è considerata attraente piuttosto che qualcosa da temere o instillare sospetti e questo si rivelerà fondamentale nell’evoluzione del vampiro nel corso della storia letteraria e cinematografica successiva. Su questo romanzo Mair Rigby commenta:
“It certainly can be said that as Lord Ruthven and his victim, Aubrey, traverse the explosively tense line between compulsory homosocial relations and the culturally prohibited horrors of homoerotic desire, “The Vampyre” can be read in the light of Eve Kosofsky Sedgwick’s identification of the homophobic “paranoid gothic” (Epistemology 186).[4] But “The Vampyre” reveals more than anxieties about male bonding, and I propose the motif of “cureless disquiet” may be further appropriated to express the deeper underlying sexual disquiet which reverberates throughout this narrative.”[12]
Lord Ruthven è un personaggio che si maschera da uomo normale e gioca con il lettore e gli altri personaggi, ingannandoli. Questo elemento del “masquerading as a normal man” è comune in numerose narrazioni a tema omosessuale. In “The Vampyre”, l’attenzione di Aubrey è inizialmente attratta dalle singolarità e peculiarità di Ruthven:
“He watched him; and the very impossibility of forming an idea of the character of a man entirely absorbed in himself, who gave few other signs of his observation of external objects, than the tacit assent to their existence, implied by the avoidance of their contact: allowing his imagination to picture every thing that flattered its propensity to extravagant ideas, he soon formed this object into the hero of a romance 48 , and determined to observe the offspring of his fancy, rather than the person before him. He became acquainted with him, paid him attentions, and so far advanced upon his notice, that his presence was always recognised.[13]
La ricerca del protagonista per svelare la verità sul suo oggetto di interesse maschile è sia suggestivamente sessuale che significativamente epistemologica. L’atto di Aubrey di riconoscere Ruthven come straordinario porta in sé il pericolo del riconoscimento (“it takes one to know one”). Perturbante, potenzialmente erotico e spesso paranoico, nelle narrazioni gotiche ottocentesche il riconoscimento è pericoloso quando coinvolge chi vede la stessa conoscenza proibita di chi è stato riconosciuto. Aubrey presta attenzione a Ruthven fino a quando non ha avuto modo di notare che la sua presenza è sempre stata riconosciuta da quest’ultimo. L’errore di Aubrey risiede non solo nella sua incapacità di realizzare che un uomo come Ruthven è una cattiva scelta di oggetto del suo affetto, ma anche nella sua cecità di fronte ai pericoli di riconoscere attivamente e di essere riconosciuto in primo luogo. Dopo aver trasformato il suo oggetto nell’eroe di una storia d’amore, Aubrey viene gettato fuori rotta e il suo progresso verso un futuro “normale” (e.g. il matrimonio con una donna) viene arrestato, ed egli sceglie invece di invitare il suo amico ad accompagnarlo nel Grand Tour, il che, come già osservato in precedenza, aveva forti implicazioni omoerotiche:
““The Vampyre” represents the Grand Tour as a rite of passage which “for many generations had been thought necessary to enable the young to take some rapid steps in the career of vice” (5). […] Polidori is characteristically vague about the nature of the “vice” to which Aubrey will be introduced, but during a period in which “Greek love” was a common euphemism for sex between men, it does not seem surprising that they eventually travel into Greece (See Crompton 11). In this most homosexually symbolic of spaces, Aubrey finds himself strangely bound to Ruthven at the same time as their relationship begins to deteriorate into murderous hostility. In a text produced at a time when particularly violent, paranoid homophobic discourses were being widely disseminated, the deviant Lord Ruthven dies and is buried, appropriately, in Greek soil from which he will return to torment Aubrey with his own unspeakable fears.”[14]
Mentre in Gran Bretagna il successo di questa novella fu più lento e complicato, a causa dell’equivoco per cui essa venne pubblicata sotto il nome di Lord Byron, in Germania “The Vampyre” venne immediatamente tradotto e ispirò l’immaginazione collettiva, traducendosi in una ricca produzione letteraria, che ebbe i suoi maggiori esponenti in “Vampirismus” di E.T.A. Hoffmann e “Die Braut von Corinth” di Goethe, oltre che musicale: il racconto venne infatti adattato per l’Opera da numerosi compositori e librettisti, e l’adattamento più popolare fu senza dubbio “Der Vampyr” di Heinrich August Marschner.
Heinrich August Marschner – Der Vampyr
La prima di “Der Vampyr” andò in scena allo Stadttheater di Lipsia il 29 marzo 1828, e ispirò nello stesso anno un secondo adattamento da parte del compositore Peter von Lindpaintner. Il librettista scelto da Marschner, August Wilhelm Wohlbrück, accolse nel testo influenze di altre opere oltre a “The Vampyre”, tra cui “Der Vampyr oder die Totenbraut” di Heinrich Ludwig Ritter e “Melmoth the Wanderer” di Robert Maturin. Naturalmente, il libretto presenta differenze dall’opera originale a cui si è ispirato:
“Nel passaggio dall’archetipo al libretto, ruolo e definizione dei personaggi principali subirono una significativa metamorfosi […] Wohlbrück condensò la vicenda in un solo giorno e mutò la conclusione tragica in lieto fine.”[15]
Infatti, nel libretto Lord Ruthven deve nutrirsi di tre vergini nel giro di ventiquattro ore, così da poter vivere un altro anno tra i vivi. Sta dunque per sposare la terza, Malwina, amata da Aubry (così si chiama nel libretto), quando quest’ultimo interrompe la cerimonia e la salva, provocando così la morte del Vampiro. La struttura del libretto è quella del Singspiel, che alterna versi e prosa. Questo adattamento inoltre spoglia il racconto di uno dei suoi aspetti più significativi, cioè la relazione complessa tra Ruthven e Aubrey. Nella novella di Polidori i due personaggi principali sono inizialmente buoni amici, e Aubrey non fa mistero della sua profonda ammirazione per Ruthven, al punto da paragonarlo ad un eroe da romanzo. Nell’opera lirica questo rapporto viene completamente trasfigurato e l’affetto del narratore per il Vampiro diventa antagonismo. Viene mantenuta l’iniziale impotenza di Aubry nei confronti di Ruthven, oltre al giuramento che gli impedisce di rivelare ad altri l’identità del nobile. Ruthven mantiene la sua caratterizzazione di eroe byronico, affascinante e astuto:
“A rendere intrigante e fascinoso l’antieroe di Marschner è la complessità del suo carattere, che consente molte chiavi di lettura […] un seduttore degno di Don Giovanni: uno splendido farabutto, capace di simulare in modo così credibile dolcezza e passione da far pensare che provi sul serio i sentimenti che manifesta.”[16]
È interessante soffermarsi dell’uso che fa Marschner della musica nella caratterizzazione del Vampiro: le melodie gaie e frizzanti delle sue arie e i suoi duetti sono in netto contrasto con le sue parole. Questa netta scissione tra musica e testo ha una potenza espressiva considerevole, poiché contribuisce a tratteggiare Ruthven come spietato omicida che gode delle sofferenze future delle sue vittime, e lo rende ancora più inquietante.
Giorgia Larocca
[1] G. Pilo, S. Fusco, Storie di Vampiri, Newton Compton Editori, 2005, p.972
[2] G. Pilo, S. Fusco, Storie di Vampiri, Newton Compton Editori, 2005, p.973-977
[3] G. Pilo, S. Fusco, Storie di Vampiri, Newton Compton Editori, 2005, p.15
[4] Julia Kristeva, “Powers of Horror: An Essay on Abjection”, Columbia University Press, 1982, p.1
[5] Julia Kristeva, “Powers of Horror: An Essay on Abjection”, Columbia University Press, 1982, p.15-16
[6] Mahinur Aksehir-Uygur, “Queer Vampires and the ideology of Gothic”, Journal of Yasar University, 2013, num. 47-59, p.6
[7] William A. Tringali, Not Just Dead, But Gay! Queerness and the Vampire, BSU Honors Program Theses and Projects, 2016, p.14
[8] G. Pilo, S. Fusco, Storie di Vampiri, Newton Compton Editori, 2005, p.18-19
[9] G. Pilo, S. Fusco, Storie di Vampiri, Newton Compton Editori, 2005, p.19
[10] John William Polidori, The Vampyre. A Tale, Arizona State University, 1816, p.11
[11] John William Polidori, The Vampyre. A Tale, Arizona State University, 1816, p.21
[12] Mair Rigby, “Prey to some cureless disquiet”: Polidori’s Queer Vampyre at the Margins of Romanticism, online journal Romanticism on the Net, num. 36-37,2005, p.2
[13] John William Polidori, The Vampyre. A Tale, Arizona State University, 1816, p.16
[14] Mair Rigby, “Prey to some cureless disquiet”: Polidori’s Queer Vampyre at the Margins of Romanticism, online journal Romanticism on the Net, num. 36-37,2005, p.4-5
[15] Heinrich August Marschner, Der Vampyr, Fondazione Teatro Comunale di Bologna, Edizioni Pendragon, 2008, p.87
[16] Heinrich August Marschner, Der Vampyr, Fondazione Teatro Comunale di Bologna, Edizioni Pendragon, 2008, p.90