“Morte a Firenze” – Marco Vichi


Voto: 5 stelle / 5

Con “Morte a Firenze” (Guanda 2002) Marco Vichi si aggiudica il Premio Scerbanenco nel 2009 e l’anno successivo il Premio Camaiore e Azzeccagarbugli.

È vero che questi riconoscimenti letterari vengono assegnati al miglior autore di gialli, noir, polizieschi. È altrettanto vero che la motivazione del Premio Scerbanenco recita così: “per l’opera di ampio respiro e l’impegno civile”.

Pertanto mi associo a quanti, tra gli estimatori, ritengono improprio ricondurre questo autore al genere poliziesco. Marco Vichi tocca numerosi problemi sociali e politici tra gli anni Sessanta e Settanta. Senza dimenticare di volgere lo sguardo a quell’Italia che, combattuta una guerra già persa, ha affrontato il drammatico secondo dopoguerra. “Morte a Firenze” non fa eccezione.

Trama di Morte a Firenze

A ridosso dell’alluvione del 1966 viene ritrovato il cadavere di un bambino scomparso. È l’inizio di un incubo per il commissario Bordelli della squadra mobile di Firenze. La stampa punta il dito contro l’inettitudine della questura. La famiglia esige l’arresto dell’assassino, perché il piccolo Giacomo è stato vittima di un delitto odioso. E il questore incalza il commissario.

Le certezze sono poche: Giacomo si volatilizza all’uscita di scuola, mentre si affretta verso casa da solo sotto una maledetta pioggia torrenziale. Per un insieme di circostanze nessun familiare è andato a prenderlo al collegio, come d’abitudine.

Il commissario Bordelli decide di seguire un indizio molto labile, l’unico, che magari indizio non è. Purtroppo a stretto giro di posta, dopo giorni di pioggia battente, l’Arno rompe gli argini. Una furia di acqua e fango assalta e inonda la città con danni incalcolabili. Mentre si unisce alle operazioni di soccorso, Bordelli non dimentica il caso:

《Chiunque l’avesse ucciso, da quel disastro aveva solo da guadagnare. L’inondazione avrebbe assorbito a lungo l’attenzione delle autorità. L’omicidio del ragazzino rischiava seriamente di finire in archivio.》

Il commissario riuscirà a ricostruire la dinamica omicidiaria, ma a caro prezzo. Perché è impossibile rimanere indenni quando si decide di speronare la casta corrotta, potente e pericolosa degli intoccabili.

Recensione

I personaggi sono credibili e godono di autonomia narrativa indipendentemente dal loro coinvolgimento nell’investigazione, che non è l’unico snodo narrativo. Infatti Marco Vichi in numerose occasioni ha dichiarato, prendendo le distanze dal format whodunit: “A me piace parlare dell’uomo, non di chi è stato”.

L’ ispettore vive un momento personale e professionale delicato che fa del grigio la sua tonalità emotiva prevalente. Prossimo alla pensione, senza figli e una relazione stabile, paventa una terza età di acciacchi, senza però perdere la voglia di innamorarsi.

Gli spunti sono tanti. C’è un presente difficile da capire e da accettare (il Sessantotto è alle porte). C’è una borghesia vuota e una classe politica che ha tradito se stessa. C’è il Male.

Ben condotte le pagine dedicate all’alluvione di Firenze. Tratteggiano, senza puntigliosità descrittive, la mobilitazione generale di una città in ginocchio. Fanno da cassa di risonanza all’atmosfera plumbea, tetra e piena di rabbia che marca la narrazione.

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