“Nannetti: la polvere delle parole” è un libro biografico, scritto da Paolo Miorandi e pubblicato da Exòrma il 3 marzo 2022. Ringraziamo la casa editrice e l’agenzia Anna Maria Riva per la copia cartacea in omaggio.
La trama di Nannetti. La polvere delle parole
Ospedale psichiatrico di Volterra 1959-1973, Fernando Oreste Nannetti nome detenuto, N.O.F. 4 è un paziente del grande padiglione nel complesso psichiatrico toscano. Qui, un centinaio di problematici si radunano nel cortile di circa duecento metri quadrati. Ognuno impiega il tempo a modo proprio, chi giocano a carte, chi dorme, altri fumano mozziconi di sigarette sottratti di nascosto, altri ancora litigano a parole finendo con le mani.
Un’ombra fra tutte le ombre si tiene in disparte distaccandosi dal mondo esterno come da quello interno. Trentadue anni, il giovane è Fernando Oreste Nannetti. Egli scrive ogni giorno sulle pareti intonacate dell’edificio. Si serve dell’unica matita di cui può disporre: la parte metallica (l’ardiglione) della fibbia del suo gilet.
Nel corso di nove anni (dal 1959 al 1961 e dal 1968 al 1973) incide come fosse un libro di pietra a cielo aperto. Diviene nel corso di questi anni un’opera colossale di scrittura che si sviluppa su un muro lungo settanta metri.
L’ospedale
Il padiglione ove si trova Nannetti il “Ferri” è uno dei reparti che formano il grande complesso ospedaliero psichiatrico. La struttura, austera è circondata da un muro di cinta incorniciato da lugubri inferriate di filo spinato. S trova in cima a una collina, nella medievale toscana, volutamente come simbolo di isolamento totale. Vi sono guardiani come secondini: tutto a rappresentare un carcere di massima sicurezza, in cui i reclusi sono esiliati, messi al bando dalla collettività.
Dopo aver provato la morte sociale e familiare, sono sottoposti a condizioni di vita da campo di concentramento.
Al primo piano dell’ospedale i pazienti-reclusi sono distribuiti in dormitori di una trentina di posti. Durante il giorno, dopo i pasti, sono ammassati mattina e pomeriggio al piano terra, in uno stanzone in cui lo spazio medio per ogni individuo si riduce a un metro quadrato.
Lì, sono costretti a camminare in cerchio attorno a un tavolo, senza mai fermarsi – come una fiera ingabbiare in uno zoo. L’esistenza si riduce a questo caos spaventoso, a questo clima opprimente di liti, frastuono, deliri e grida, tranne che durante l’ora di uscita in cortile, all’aria.
In questo tumulto che abbrutisce per lo squallore, la miseria, la promiscuità permanente, che si beffa dell’intimità, Nannetti sceglie l’introspezione e il monologo interiore, il ripiegamento e il silenzio. Il soliloquio lapidario.
Il protagonista
Il giovane dà corpo a un’opera immaginaria servendosi dei poveri mezzi di cui dispone: la facciata dell’ospedale come supporto espressivo e la punta metallica della fibbia del gilet come strumento di lavoro. Mezzi che grazie a un’ingegnosa metamorfosi assumono un significato simbolico. Il muro dell’ospedale-prigione, eretto in origine per separare ed escludere, diventa lo schermo sensibile dei deliri poetici dell’autore; l’ardiglione, elemento della divisa regolamentare, obbligatoria, uguale per tutti, che annulla identità e personalità, si trasforma in uno strumento di libertà, le ali della sua libertà
Recensione
Lo si può definire un restauro scritturale dell’opera di Nannetti, questo libro non è retto da intenzioni artistiche o culturali, non ha destinatari, ma con poesia e intensità tenta di sublimare la disperazione data dal Nannetti.
La scrittura poetica è l’unico senso possibile a questo raccontare che così facendo, ricostruisce l’identità saccheggiata del paziente detenuto. Una scrittura che è quindi costruttiva e pacificatrice ed al contempo rivoluzionaria.
L’autore esalta l’espressività del Nannetti, contesta mediante il suo scrivere, condanna il considerare la scrittura non autorizzata o peggio non censurata, un segno d’inciviltà, d’illegalità, prossimo al vandalismo. I graffiti costituiscono per definizione una pratica irriverente e provocatoria. Riscrivendo e riportando alla luce i testi e le memorie recuperate sulle facciate stesse di quello che era chiamato ospedale.
Questo libro attacca l’istituzione psichiatrica e giudiziaria, e metaforicamente prende di mira l’autorità che permette tali abomini. Il testo che abbiamo in lettura ci proietta tra vomito e urine, bisogni corporei espletati in pubblico. Una descrizione strappata alle edere che avvolgono il manicomio ormai in completo degrado strutturale.
Riflessioni
La memoria di ciò, la si deve anche alla collaborazione che l’autore Paolo Miorandi ha saputo tessere con il contributo lasciato dai racconti degli infermieri Aldo Trafeli e Franco Gabellieri che per oltre 30 anni sono stati ciò protagonisti e spettatori di quanto stava accadendo.
Una avventura poetica e altrettanto cruda, quella che lo Scrittore Miorandi, psicoterapeuta, ci sta regalando, quasi a voler riscattare la ignoranza dell’oblio che i suoi pari dotti perpetravano in epoche oscure alla psichiatria moderna. Il romanzo è in parte di fantasia, soprattutto nei dialoghi e nell’immedesimazione al tempo del Nannetti; però è estremamente reale nella trascrizione delle parole tratte dalle immagini impresse con la fotografia di Francesco Pernigo.
Si percepisce così appieno e con un senso di vergogna lo stato in cui si trovavano i detenuti.
“Nanetti, la polvere delle parole” è un testo breve, ma magistralmente intrecciato, tra psicologia e storie vere di vita vissuta. Presenta vie di fuga scavate nella mente e pensieri folli, resi concreti da calcinacci ed una fibbia.