“Nova” – Fabio Bacà


Voto: 5 stelle / 5

“Nova” è il secondo libro di Fabio Bacà, pubblicato da Adelphi nel 2021 e attualmente nella dozzina dello Strega. Sono passati trentatré anni dall’ultima volta che la casa editrice ha partecipato a questo Premio.

L’autore abruzzese ha esordito con “Benevolenza cosmica”, sempre per Adelphi, nel 2019.

Trama di Nova

Davide, Barbara e Tommaso costituiscono un nucleo famigliare abbastanza solido e mite, ognuno con le sue fisime: Davide si sveglia pensando alla morte, Barbara all’incombere del suo quarantesimo compleanno, Tommaso a Francesca. Al ritmo degli Aerosmith e dei Pet Shop Boys, di provocazione in provocazione procediamo a ritmo sempre più incalzante verso il nocciolo del romanzo: essere “geneticamente inabili alla violenza” vuol dire essere vigliacchi? Quale rapporto dovremmo avere con il nostro lato oscuro? Davvero il Male chiama altro Male?

Recensione

La prima cosa che balza all’occhio, per chi non è vaccinato allo stile di Fabio Bacà, è la ricercatezza linguistica. Non parliamo di un piano aulico e inarrivabile, bensì di un’architettura molto precisa di subordinate, perifrasi, antifrasi, analessi, circonvoluzioni verbali e inesauribili virtuosismi lessicali, spesso mutuati dal gergo scientifico (essendo Davide un neurochirurgo e Barbara una logopedista, infatti, tutto torna) che forniscono tantissimi spunti e aprono porte impensate.

“Ora Camillo, seduto su una piccola seggiola di plastica rossa, attendeva la prova successiva con le braccia abbandonate in grembo e un’espressione di complessa infelicità”.

La parola chiave di questo romanzo è koan. Il koan è un principio zen che propone l’analisi di un dilemma insolubile, appositamente per evidenziare i limiti del cervello umano. E proprio cervellotici sono i personaggi di Fabio Bacà: tutti elucubrano costantemente sui propri sentimenti, i gesti dell’altro. Deducono, inducono, seguono investigazioni cerebrali e poi, quasi puntualmente, vengono smentiti dalla realtà, da una verità impensata. Perché c’è sempre un lato a cui non abbiamo accesso: per quante volte possiamo rigirarci un fatto nella testa come se fosse un prisma tra le mani, ci sarà sempre una sfaccettatura più in ombra delle altre.

“Le persone come lei sanno d’istinto che se rifiuti qualcosa di così profondamente radicato in te, qualunque sia il capitello teorico della tua avversione, un giorno potresti ritrovarti indifeso davanti alle lusinghe di ciò che ripudi.”

Lo stile

In “Nova” la scrittura di Fabio Bacà mantiene quel carattere pirotecnico sornione e giocoso di “Benevolenza cosmica” («perché sennò non mi diverto» – come ama raccontare l’autore stesso) ma in “Nova” si alza di livello. Nella seconda metà del libro diventa una rampa e fa decollare la storia. Molti degli elementi che ci sono stati forniti nella prima parte diventano illuminanti; alcuni tasselli si posizionano ai giusti incastri, la storia letteralmente deflagra, come una stella, come una nova. Noi iniziamo ad avere fretta, a “mangiare” il romanzo perché assorbiti dall’effetto boomerang delle vicende e dal concatenarsi vertiginoso di conseguenze. Infine, restiamo sbalorditi dalla composizione finale.

“Le nostre anime sono state salvate da un atto di violenza”

Ve lo dico subito: al puzzle mancherà un pezzo, e se siete come Sheldon Cooper potreste odiare l’autore. Io ho trovato il finale assolutamente affascinante: paradossalmente, è stato la chiusura del cerchio.

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