– Va’ a trovare tua sorella – dietro la frase buttata con noncuranza si nasconde un messaggio, quasi un mandato, un’investitura: andare, tastare il terreno, tornare e riferire. Di tutto il resto – farsi un’idea della situazione e trarne le opportune conclusioni, ad opera compiuta – se ne occuperà in un secondo tempo chi resta a casa.
Che dire, la mancanza di Adriana l’avverte tutta la famiglia. L’assenza della sua risata: una privazione che cresce giorno per giorno, insieme alla curiosità di sapere come vadano le cose nella nuova casa. E così, per l’investigazione, si spedisce il fratello più piccolo, Berto.
Non che al ragazzo manchi una dose di spavalderia ma, in qualsiasi impresa, un minimo di compagnia ha i suoi vantaggi: meglio farsi accompagnare da un amico; se è da andare in avanscoperta, almeno sentirsi spalleggiati.
Ed eccoli, pertanto, i due ragazzi, lasciar perdere lo zigzagare del sentiero di terra battuta e sfrecciare, invece, tagliando dritto lungo i prati con il dispiegarsi del lago che si annuncia a tratti, dove il canneto si presenta più rado. Nei pressi dello stretto, il canale che congiunge i due specchi d’acqua, caricate le biciclette in spalla, in un baleno, sono dall’altra parte, a un tiro di schioppo da casa. Pur sempre terra foresta per i tempi, quando non è necessario un cartello stradale, ma sono sufficienti un laghetto, un torrente, volendo anche una pozza fangosa per creare uno spartiacque, una linea di demarcazione. E, nel superarli, si diventa guardinghi. Adesso infatti la pedalata cambia ritmo, è più cauta nel puntare verso la casa in cui la sorella di Berto, solo con qualche anno in più di lui, abita da poche settimane.
I ragazzi appoggiano le biciclette al muro dell’abitazione ma restano lì a guardarsi; una certa titubanza fa sì che non osino entrare: Berto chiamerà la sorella dall’esterno. La possibilità che non sia in casa c’è: in tal caso la missione può considerarsi comunque conclusa. Un minimo di attesa e poi la ritirata.
Invece Adriana, riconoscendo la voce familiare, arriva dall’orto dove ha lasciato in fretta il cesto con il bucato da stendere. Il grembiule sollevato per asciugare le mani bagnate svela la rotondità della pancia, nascosta con impaccio nella casa natia ed ora portata non più come un fardello, ma con naturalezza, quasi ostentata con orgoglio.
Con un’espressione di divertita sorpresa per una visita tanto inaspettata, li precede verso la cucina: – Venite, accomodatevi!
I due ragazzetti, messi in soggezione dall’ambiente nuovo, sono accoccolati, quasi inchiodati sulla sedia, soprattutto Berto, il quale guarda di sottecchi la sorella, la stessa che, fino a poco tempo prima, toglieva ai fratelli più grandi qualche leccornia per passarla sottobanco a lui. Lo sguardo dei due vaga sui pochi mobili, tenta di leggere la scritta sulla cartolina esposta dalla parte del destinatario e infilata sul vetro della credenzetta – probabilmente qualche parente della famiglia acquisita emigrato lontano – quasi una lettera tanto che, arrivata in fondo, le parole risalgono lungo il bordo.
Mentre Adriana s’informa – come va, come non va in famiglia, come stanno tutti – si vede dai suoi gesti, da quella pezzetta passata e ripassata sul tavolo, un’abitudine che Berto ben le riconosce, la sua familiarità con la nuova casa.
Frettoloso lo era stato quel matrimonio, una cerimonia nel paese della sposa, in chiesa alle cinque del mattino con i soli testimoni, come volevano i tempi per chi avesse trasgredito agli insegnamenti di Nostro Signore. Intanto, nel paese dello sposo, un accanito fervore religioso si era impadronito di tante donne che abitualmente andavano alla messa grande, ma per l’evento avevano preferito quella delle sei. Già impazienti al momento dello spezzare il pane, non aspettavano che l’ite missa est”. Il calcolo fatto, l’ora giusta per uscire di chiesa e vedere arrivare gli sposi, ma soprattutto prendere le misure a colei che veniva dall’altra parte del lago. A beneficio di una compiuta valutazione, fosse statonecessario, anche una chiacchiera prolungata sul sagrato, tanto di là dovevano passare gli sposini.
La delusione c’era stata.
Tutta lì? Una donnina minuscola, anche se a testa alta, appesa al braccio di quel pezzo di pane di omone che la sovrastava. E una perseverante attesa per niente ripagata a causa di un soprabitino senza pretese, ma capace di nascondere ciò verso cui era rivolto l’interesse.
Erano bastati pochi giorni, però, perché la fiammata di curiosità si spegnesse e quella sporgente evidenza, nell’opinione comune, si ridimensionasse ad un’imprudente disattenzione, degna di solidarietà. Nel negozietto del paese, dove già dal giorno dopo Adriana aveva fatto la sua comparsa, il chiacchiericcio intermittente s’era taciuto. Di fronte alla sua parlantina sciolta, le persone avevano rintuzzato la lingua: in un amen, la morbosità si era spenta.
In casa, nel frattempo, se la suocera aveva pensato che la nuora sarebbe stata guardare, aveva contato sulla persona sbagliata. Per dovere di precisione, per due tre giorni Adriana aveva osservato e valutato, al limite un inarcamento delle sopracciglia, un intervallo sufficiente per appurare che i pranzi e le cene venivano sacrificati all’insegna della mortificazione. Mai era stata a guardare, inattiva, qualcuno fare qualcosa peggio di come sapeva far lei. Quelle verdurine lesse, quei brodini insipidi: la situazione andava affrontata. La domenica successiva, determinata, si era fatta avanti: a lei il coniglio. Le operazioni erano state tenute sotto controllo già dall’inizio da parte del suocero, abituato ad una cucina sciapa e svogliata. In poco tempo tutti gli organi di senso erano stati sopraffatti dall’olfatto: un effluvio così appagante mai si era sentito aleggiare in casa. Aveva atteso che Adriana andasse nell’orto, curioso ma cauto dapprima, prudente nell’avvicinarsi alla pentola, temerario nell’affondare le dita. Di fronte a quella soavità, perso in un godimento oramai insperato nella sua vita, mentre addentava pure l’osso della coscia, non aveva avuto dubbi: ad Adriana la cucina, da allora e per sempre. La supremazia di comando ai fornelli definitivamente stravolta: lo scettro assegnato.
Adesso i ragazzi, poco sostenuti da una scorta di espressioni o chiacchiere convenzionali, continuano a sguinzagliare gli occhi di qua e di là, verso i vecchi mobili di cucina per i quali non c’è stato il tempo di rinnovo, in vista del matrimonio.
Adriana stempera la tensione con la sua spigliatezza, esplodendo in qualche bellissima risata, sapendo quali aneddoti tirare in ballo, trascinando i ragazzi dentro ai vari “ quella volta che”, pezzi del tempo vissuto insieme. Ma intanto riflette: un semplice rituale celebrativo per quella prima visita è d’obbligo. Un legame di sangue va tenuto di conto, preservato, salvaguardato con cura ed attenzioni. Prima che i due riprendano le biciclette, è necessario mostrare rispetto delle buone maniere: una certa creanza esige che qualcosa venga offerto, ad ogni costo. Diamine, nella casa natia nessuno sarebbe uscito dalla porta senza aver prima bevuto un caffè, una marsala, un vermouth, assaggiato un biscottino tenuto di riguardo per gli ospiti! O, a seconda della stagione, una manciata di ciliegie, oppure un pugnetto di castagne arrostite. Non sia mai che il fratello ed il suo amico spariscano dal campo visivo a bocca asciutta. Metti che a casa indaghino: – Cosa vi ha offerto? Anche l’ospitalità data può essere un modo per esaminare la situazione, giudicare l’educazione della casa, magari valutare pure le possibilità economiche.. Qualsiasi cosa andrebbe bene ma Adriana, avendo il controllo della dispensa, è consapevole che in quel momento è vuota. Desolatamente vuota.
E poi! Il lampo.
Prende due bicchierini dalla credenza, li osserva in controluce come un chirurgo che debba controllare una lastra prima dell’operazione, li ripassa con un canovaccio, quindi li riempie da una bottiglietta apparsa magicamente all’improvviso chissà da dove, continuando a parlare:- Bevete, bevete. Non state a far complimenti.
Scruta i ragazzi in attesa che finiscano il primo sorso, con soddisfazione li vede umettarsi le labbra di fronte a quel liquido denso, dolce, appena appena appiccicaticcio. Così, appurato l’apprezzamento, dopo la solenne sacralità del primo assaggio, con l’abilità e l’indifferenza di un oste, versa ancora e poi ancora.
Solo dopo li lascia sgusciare via, accompagnandoli con uno sguardo affettuoso e compiaciuto allo stesso tempo, raccomandando di portare i suoi saluti a casa,
Poco importa se alla sera, quando cercherà lo sciroppo per la tosse, il suocero resterà sorpreso e un po’ confuso, trovando solamente un flacone vuoto.