“Partenze”

Ovvio che sarebbe andata a finire così, anche se la solita frase”stavolta solo l’indispensabile” veniva proclamata da giorni. Indispensabile mica è concetto circoscritto. Vuoi considerare l’evoluzione che il termine ha avuto nel tempo? E, scusa, ciò che per te non è prioritario, magari lo è per me.

Può succedere quindi che nell’indispensabile, per andare in vacanza, finisca che ne so, la moka da due: sia mai che l’appartamento fornisca solamente quella da sei, come la mettiamo poi con l’agitazione psicomotoria ? E il caricabatterie? Restare sconnessi con il mondo: giammai! Inoltre, se in montagna ti rifilano piumini singoli nel letto matrimoniale che istigano ad appropriarti di ciò che non ti spetta, l’aggiunta di un lenzuolo a due piazze portato da casa leviga tutto, coopera per un’equa ripartizione degli spazi.

Il fatto è che ci piace movimentare la vita – in vacanza non si va in due – da allegare tre nipoti, rappresentativi di età varie. Un adolescente verso il quale, ammettiamolo, nutriamo degli scrupoli: cosa farà in un ameno paesino sui monti alla sua età? Ci consola il fatto di essere stati indiscutibilmente democratici:
– Vuoi venire con noi? La risposta affermativa ha provocato un moto di tenerezza e commozione, pur senza dissipare del tutto le nostre preoccupazioni.
Inoltre le bambine, quattro e otto anni, le quali hanno intuito e sperimentato da tempo che due contro uno funziona, eccome!

Ah sì, dicevamo i libri; hai presente quelli per la più piccola, plasticati, quattro pagine in tutto, ma copertine con minimo tre centimetri di spessore? E sempre a proposito di vacanza con bambini: cerotti. Cerotti a volontà, di quelli ad effetto tattoo ovviamente, perché sta proprio nella varietà del disegno la cura di escoriazioni che non vedi neanche con la lente ravvicinata.

Così una serie di valigie, borsoni e borsette, accatastate sul pianerottolo di casa, è predisposta per la sua destinazione. Qui la mia lacunosa intelligenza logistica che è stata sottoposta a dura prova piegando, mettendo, togliendo, appallottolando e rimettendo a casaccio, si arrende. Inesorabilmente affranta.
Adesso tocca alla provvidenza intervenire, fare il lavoro sporco. Sotto le spoglie di un marito che, non si pensi sia stato tutto il tempo con le mani in mano: da una settimana armeggia dentro fuori sotto l’automobile. E sopra, dove troneggia il nuovo acquisto, un box a metà tra un delfino stilizzato e una barca che assicura al concetto di indispensabile respiro ed estensione.
Quindi lavaggio completo della suddetta auto, con finiture passate e ripassate con pelle di daino in una perseveranza ben lontana dal mio pensiero, ma soprattutto dalle mie azioni.
E adesso finalmente anche l’impossibile finisce incastrato in un ordine rigoroso: dentro un’auto il mondo intero.
Io avrei buttato il bagaglio in modo che, poco dopo, dalla sommità sarebbe certamente franato, tirando con sé l’equipaggiamento sottostante, effetto slavina tanto per addentrarci nell’idea dell’ambiente montano.

Bene, si parte, con obiettivi chiari e precisi per l’intera prossima settimana: collaudare tutti i parchi gioco della valle, tanto che al ritorno si potrebbe scriverne una recensione dettagliata. Non per niente per la scelta della località sono stati valutati con occhio scrupoloso, soppesandone la qualità, altalene e scivoli, ingrandendo o spostando l’angolazione delle foto presentate su internet.

Fatti pochi chilometri, le bambine ci tengono a far saper che loro sono partite pulite, strigliate dalle rispettive madri e chiariscono con forza:
– Noi siamo a posto: non dobbiamo lavarci i capelli.
– Per una settimana? (A loro non interessa: fosse un mese, ci si lava al ritorno).
– E poi preferiamo lavarci a pezzi.
– In che senso? Una sera le braccia, l’altra gambe e piedi?
– Nooo.
Ah, meno male. Il nipote accenna uno dei suoi sorrisi, superiore a queste cose ora che l’adolescenza non gli permette di aderire al complotto e deve vedersela con una cascata esigente di ricci in cui non so cosa pagherei per affondare mani e viso, ma sono anni che con una ritrosia da maschio mi ha disabituato non solo a farlo, ma neanche ad immaginarlo. Già me lo vedo lassù tra i monti, lui col suo pallone, ai margini di un campo da calcio . Ci sarà no, un campo da calcio? Minuti di silenzio, l’attesa camuffata con qualche noncurante, solitario palleggio, aspettando uno sbrigativo invito:- Vuoi giocare con noi? Si gioca insieme arrivando a contatti ravvicinati, ma non si sa nemmeno il nome dell’avversario. Bello finché dura.
Questo nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore tocca a noi giocare insieme: l’avvio incoraggiante – beh, dai, ce la faccio – in pochi secondi sudore, respiro che annaspa, sensazione di trovarti davanti ad un plotone con il pallone che mitraglia, sguardo che scruta in tutte le direzioni se arrivi un adolescente, meglio ancora un gruppo, che assicuri continuazione al gioco, che ti dia il cambio. E con la mano alla milza che grida il suo diritto a maggior rispetto, usi le ultime forze per strascicare le parole. – Peccato…ma forse ti diverti di più con loro.
Più tardi magari te lo ritrovi, questo ragazzo, a dondolare sull’altalena con le bimbe, nel ritmo rassicurante di un’infanzia che in qualche modo lo vuol ancora trattenere.

L’esperienza comunque insegna che è molto meglio giocare con le bambine a nascondino: si bara e ci si fa trovare subito. Quindi quelle me le accaparrerò io lasciando a mio marito il giocatore di calcio.

Mentre la macchina scivola via, lasciando alle spalle la distesa pigra della pianura e facendo intuire in lontananza la stupefacente composizione di boschi e rocce, pensiamo che non incresperemo l’euforica, fanciullesca atmosfera di questa mattinata luminosa. Lo difenderemo questo tempo, non lo inquineremo con pensieri inadeguati; intralceremo inquietudini ed apprensioni riempiendo le nostre ore del superfluo, cristallizzeremo questi sette giorni che ci vengono regalati, consapevoli del prezioso bagaglio che abbiamo il privilegio di portarci appresso, ancora ben imbrigliato nei sedili dietro. Quello che alterna momenti di silenzio buono, da accogliere e ascoltare, a proposte di assurdi indovinelli, che coinvolge le nostre voci arrochite con canti: no, niente pezzi di tragica rievocazione del repertorio tradizionale montano come la meta suggerirebbe.

Lo slancio vocale, se così possiamo chiamarlo, si appaga di ben altro:

  • METTI UN PO’ DI MUSICA LEGGERA PERCHE’ HO VOGLIA DI NIENTE, ANZI LEGGERISSIMA...

Un dubbio: sicuro che gli integratori li abbiamo presi?!

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