Il regalo per la pensione

Valerio si incammina lungo il viale che dall’ufficio porta verso casa; la comodità dei soli trecento metri di distanza non allevia quella stanchezza inquieta, evidente nel passo sfiancato. Le foglie degli ippocastani che si staccano dai rami in questo ultimo giorno di settembre, vaganti nella ricerca di un appoggio, sembrano armonizzare con i suoi pensieri instabili.
E’ la strada che ha percorso quattro volte al giorno, cinque volte la settimana, quarantotto settimane l’anno, per quarantadue anni.

Stasera, però, è l’ultima volta.

Nell’ufficio sono rimasti i ritardatari, quelli che temporeggiano con chiacchiere strascicate con l’unico scopo di approdare alla fine a qualche pettegolezzo, quasi sia una regola istituita ormai. Valerio scommette tra sé che questa volta l’oggetto considerato, o meglio, passato finemente al setaccio, non potrà essere che lui. Lui che, specie nell’ultimo periodo, in modo proporzionale all’accorciarsi dei giorni di lavoro, non faceva niente per dissimulare il suo disinteresse crescente.
Ha lasciato sopra la scrivania i vassoi con i tovaglioli accartocciati e alcune tartine al gorgonzola rimaste a rinsecchire. Sul pavimento una chiazza appiccicosa di aranciata che qualcuno aveva fatto cadere. Residui di un festeggiamento obbligato per la sua pensione, la celebrazione di un rito sociale.
Erano state lente le ore dell’ultima giornata, qualcuno che passava, una pacca sulla spalla, un abuso di battute scontate: – Beato te, te ne scappi via e lasci noi nei guai…

Già, una pensione aspettata. Doverosamente meritata. Finalmente poter zittire tutti quelli che chiedevano: _Quanto ti manca? _ ce ne fosse stato qualcuno che finisse la frase.
_Mi manca che cosa? _ avrebbe voluto rispondere, magari per farli rimanere di stucco, ma ogni volta lasciava perdere.
Mentre si avvicina a casa, la spossatezza non lo abbandona.
Qualcuno l’aveva avvisato: _ Vedrai che ti mancherà il lavoro!
Macché, non è quello.

Ormai era davvero stanco. Da tempo aveva la sensazione di essere fuori luogo, lo percepiva dai sorrisini degli ultimi arrivati, ragazzotti spavaldi dalle polo col colletto rialzato che a fatica imprigionavano deltoidi ottenuti con dedizione nel dopolavoro e che fingevano di tenere in considerazione il suo punto di vista. La ditta non era mica più quella dei suoi tempi: ora se non parlavi di gestione operativa, di pianificazione aziendale, di capitalizzazione finanziaria, eri fuori.
No, appunto, non crede di averne nostalgia. Nell’ultimo periodo si era immaginato i giorni a venire con la sveglia da eliminare, le responsabilità del lavoro da dimenticare. In fondo la sua vita senza grilli per la testa poteva trovare la giusta dimensione anche in un tempo ozioso da riconquistare. Comunque qualche idea c’era: rispolverare la licenza di pesca, la bicicletta nel garage da sistemare, a proposito pure il garage era da prendere per mano. Cosette così, niente di che. E il resto sarebbe venuto da sé.

Valerio, consapevole che non è l’idea della pensione che gli provoca quelle sensazioni fastidiose, però ha ben chiaro quando queste gli si sono aggrappate addosso: è stato il momento del regalo. Una cornice digitale. Ultrapiatta, modello nuovissimo, con visualizzazione ottimale e la possibilità di definire il tempo tra una foto e la successiva. Ora, dentro il pacchetto che ha ricomposto alla ben e meglio, schiacciata sotto il braccio.

Ne aveva vista una simile a casa di un amico: fotografie che si rincorrevano, una dietro l’altra. L’amico spiegava, illustrava le varie immagini; Valerio era riuscito perfino a seguirlo per le prime dieci: lui e la moglie sopra gli scogli, quindi su un sentiero di montagna con l’espressione di conquista, neanche fossero in Tibet. Ma poi erano iniziate a scorrere quelle dei nipoti: suvvia, a tutto c’è un limite. Come se la propria vita agli occhi altrui avesse una rilevanza impensata!

Valerio cosa avrebbe fatto scorrere? Aveva sempre controllato i propri pensieri quando scappavano dal presente al passato, non permettendo mai che, in questo moto oscillatorio, indugiassero nel rimpianto.
Niente famiglia, amicizie poche, quelle giuste, ma di certo non da immortalare con fotografie, qualche parente alla lontana che finché c’era il telefono fisso sentiva a Natale, poi né lui né nessuno si era preoccupato di informarsi dei numeri di cellulare. Ecco, questo sì, ritrovarsi ai funerali e magari scrutando visi dove le rughe avevano lavorato in modo talmente zelante da lasciare il tracciato di un’intera tavola pitagorica, proclamare: – Come stai? Ti vedo bene.

Il regalo che in tutti gli hanno fatto: gli viene da sorridere. S’immagina la raccolta dei soldi, i commenti, chi ci stava e chi non, chi affermava che più di cinque euro non avrebbe messo. Quante volte aveva partecipato anche lui: collette per i matrimoni, sempre meno a dir la verità, per i nuovi nati, per i funerali e quelli per la pensione. Questi ultimi i più difficili perché mentre per gli altri potevi informarti di cosa uno avesse bisogno – tolti i funerali dove con i fiori te la cavavi – per la pensione mica puoi domandare, non starebbe bene.
E così per lui avevano pensato ad una cornice digitale. Con immagini ad alta definizione. Con attivazione della musica. Con il suo bel telecomando. Già se lo vede quest’oggetto che, nella sua essenza ultrapiatta, avrebbe la presunzione di inquisire il passato, sepolto sotto le vecchie carte. Statico che di più non si può.

Sono considerazioni che l’accompagnano fino al cancelletto di casa sua. Valerio attraversa il giardinetto spoglio, dove un solo albero protende uno dei rami a schermare la casa, quasi a difenderla da possibili intromissioni, a proteggerla da sguardi curiosi.
In quel quartiere lui ci sta bene; con coloro che lo abitano oltre le formalità del “buongiorno/buonasera/ brutta giornata eh/ meno male che oggi c’è il sole/” difficilmente si è mai andati.
Niente invadenze imposte o subite.

Appena prima di mettere la chiave di casa, avverte per caso il saluto della vicina che sta per uscire, quasi un borbottio al di là della recinzione: quella, se non va in chiesa, si reca di sicuro al cimitero. Ah no, c’è pure l’oratorio.
E’ un lampo. Valerio prende il pacchetto da sotto il braccio, ricompone frettolosamente la carta stropicciata attorno a quel regalo che già immaginava nella sua permanente futura inattività.

_ Buonasera, ecco mi sono ricordato che state allestendo la pesca di beneficenza lì all’oratorio.
Avrei qualcosa da mettere tra i premi…

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