“Il pettirosso” – Jo Nesbo


Voto: 5 stelle / 5

Ho conosciuto Jo Nesbo per puro caso: una copertina che ti occhieggia dagli scaffali della libreria, un nome sentito da qualche parte, una quarta di copertina che ti intriga ed ecco, sei catturata; acquisti il libro e, come mille altre volte, ti auguri che la tua speranza nel libro scelto sia stata ben riposta. Questo è stato, mesi fa, il mio incontro con lo stile dell’autore e la lettura è stata, allora, così coinvolgente da indurmi a volerne leggere ancora e ancora.

Arriviamo quindi al “Il Pettirosso”, il libro che ha occupato le mie letture e i miei pochi momenti liberi negli ultimi 5 giorni.


Trama de Il pettirosso

“Il Pettirosso” si sviluppa nel racconto di due storie (ambientate in epoche diverse) che, inizialmente indipendenti, si ritrovano inevitabilmente ad intrecciarsi nel corso del libro fino all’epilogo finale.

Da una parte si narra la Seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di un gruppo di giovani norvegesi e, successivamente, si seguono le vicende personali di uno di loro; dall’altra parte, a cavallo del passaggio di secolo (1999-2000) si segue il protagonista, il poliziotto Harry Hole, portare avanti un’indagine complessa e intricata dai risvolti sempre più dolorosi e inaspettati.

Commento

Ho sempre amato quei libri che hanno la capacità di “condurti per mano” attraverso l’evolversi di storie parallele; è come leggere un romando nel romanzo: c’è la curiosità di trovare quei dettagli che riconducono una storia all’altra ma anche la consapevolezza che il legame tra le due storie sarà chiaramente esplicitato solo alla fine del libro.

“Il Pettirosso” parte, per me, un po’ in sordina; non tanto la prima parte “attuale” quanto la seconda, ambientata nel 1942, si trascina in attesa di prendere finalmente il decollo. Questo avviene, per fortuna, dopo poche decine di pagine quando presente e passato, seppur chiaramente distinti, cominciano a svilupparsi in modo molto più fluido e coinvolgente riprendendo progressivamente il ritmo serrato del Nesbo che amo.

Copertina "Il pettirosso"

“Il Pettirosso” è un thriller atipico: non c’è un omicidio di cui bisogna svelare il colpevole in quanto i “cattivi” sono esplicitamente palesati nel corso di tutto il libro; l’intera storia sembra tessuta più che altro al fine di rispondere alla domanda “chi è chi” e, in questo modo riuscire finalmente a svelare il legame tra le due storie parallele. Questo, lungi dal togliere suspense e ritmo alla trama, ti porta inevitabilmente ad affezionarti al protagonista, a seguirlo nelle sue indagini, ad assecondarlo nelle sue intuizioni e a soffrire delle sue “sconfitte” fino all’inevitabile conclusione.

Leggere un libro di Nesbo è come fare un puzzle: hai tutti i pezzi li davanti a te ma all’inizio non hanno alcun significato, sono solo un insieme di informazioni senza capo nè coda. Si comincia quindi con la Cornice, la parte più immediata, quella che ti da subito l’autore per contestualizzare tutta la storia e poi si va avanti nel tentativo di mettere ogni pezzo e ogni personaggio al suo posto. Così come Nesbo, nel corso del libro, ti porta avanti e indietro nel presente e nel passato dandoti stralci di informazioni tu riesci, piano piano, a mettere insieme più pezzi del puzzle e a dargli una collocazione nel contesto.

Qualche volta pensi di aver trovato il pezzo corretto; ha la forma e il colore adatto, ha tutte le caratteristiche per essere “plausibile” ma poi ti accorgi che non è il pezzo giusto: è solo l’autore che ti sta portando dove ha deciso lui, facendoti credere una cosa per poi smentirla la pagina successiva. Con Nesbo è così: devi aspettare l’ultima pagina, mettere l’ultimo pezzo, per avere finalmente l’intero quadro davanti, svelare il mistero e chiudere, con enorme soddisfazione e rammarico, il libro.

Jo Nesbo continua ad essere per me una garanzia; per mia fortuna posso ritrovare Harry in ancora tanti libri e farmi trascinare da lui in un labirinto continuo di intuizioni ed emozioni. Ad esempio ho letto, sempre dello stesso autore, L’uomo di neve e ne ho scritto una recensione.

Cinzia Cavalieri

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