La stanza del vescovo ha 43 anni, ma essendo ambientato nell’immediato dopoguerra (il secondo), l’età si sente poco.
Chiara non rientra nelle mie corde, e questo romanzo, probabilmente il suo migliore, lo conferma. È bravissimo a descrivere il suo mondo, che però sembra isolato da tutto il resto. Oltretutto, tutto ha la pretesa di essere troppe cose contemporaneamente: storia d’amore, d’amicizia, giallo, thriller… senza riuscire esserne compitamente nessuna.
Certo, ha tanti pregi: descrive le atmosfere del Lago Maggiore in maniera sublime, e chi ama la vela troverà narrazioni molto belle dei vari viaggi sul Verbano. Altro pregio è la descrizione dei personaggi che spesso è molto bella tanto da renderli estremamente realistici. Se non si è visto il film, uno se li immagina comunque fino ai minimi dettagli. Le pennellate che Chiara dà in questo senso sono mirabili.
Per il resto, sembra di vivere in un’atmosfera “a la Agatha Christie” dove esistono solo ricchi che vivono di rendita, donne belle e vogliose, e guerre romantiche in Etiopia. Un poco demodé, come tratto stilistico.
La stanza del vescovo è da leggere, a mio modo di vedere, specialmente senza stare troppo attenti alla trama. Per capire come tecnicamente si costruisce un romanzo, per respirare un0’atmosfera diversa ed anche, perché no, per criticarlo.
Infine che Piero Chiara: liberale, massone e lombardo, abbia dato il nome di Berlusconi ad un protagonista già nel 1976 ha un che di ironico.
Cesare Gigli