“Sortilegi” – Bianca Pitzorno


Voto: 3,5 stelle / 5

“Sortilegi” è il nuovo libro di Bianca Pitzorno pubblicato all’inizio del 2021 dalla casa editrice Bompiani. E’ una raccolta di racconti. Ringraziamo per la casa editrice per la copia omaggio in digitale, che ci ha invogliato ad acquistare il cartaceo.

Trama di Sortilegi

Toscana antica,1600. La morte arriva come flagello di un dio ignoto, una vera pestilenza colei è. Intere famiglie falciate dal morbo che porta il sonno ove si scompare. Come per sortilegio una sola superstite non dorme il sonno che avvolge gli esseri umani, ella cresce sola, in un mondo desolato e arcano. La purezza naturale di codesta ragazza, così bella e senza malizia, porta una inquisizione creata da superstiziosi a devastarne il corpo, ma nulla le profana il puro animo di Donna, ciò le provocherà condanna eretica a infamia di strega.

Sardegna Barbagia tra il 1800 ed il 1900. La rena di un ruscello impressiona come fosse una lastra d’argento, la sensualità soave di una impronta, tanto seducente quanto acerba e mesta. Galeotta la roccia più ambita su cui poggiar il nudo ginocchio, ov’ella, mostrando un florido, e adoperandosi con lievi mani rovine dalla lisciva, ebbe incontro di sguardi e promesse. Amore ignoto a chi amore in core non porta, tal odio è un ricamo nefasto che ha il sapore di vendetta, ma il fato ricama ben altro per cotanta cattiveria e invidia.

Sardegna aragonese 1950. Olfiamo con nari, ma sogniamo con mente e sensi. Il profumo dolce della magia è avvolgente e inebriante, come il vento, corpo di luna ricorreva far pazzire i puledri argentini. Antica ricetta segreto dei segreti, dolce pietra filosofale della sensualità questo il sortilegio che il gusto dell’olfatto accompagna i biscotti del vento.

Riflessione

Il filo storico realistico, pittato con le tinte del sortilegio, ci conduce in un tempo antico ma presente. Incornicia l’arazzo uno stupendo italico seicentesco, fatto di parole remote e desuete, fino a  produrre un effetto ammaliatore durante l’amoreggiare di lettura. Tre racconti, due favole, un crudele di vizio giustificato godimento dell’omo, la prima condanna che Bianca Pitzorno ci rappresenta.

Tutti e tre i racconti segnano la medesima morale, gli incantesimi esistono, esistono come prodotto della mente e del cuore, provengono da menti e cuori liberi e ribelli al tempo ed alle catene delle imposizioni. Sono codeste persone, martiri stessi del loro essere unici a volerlo dimostrare, sono persone che subiscono la meschinità, la paura, la lascivia umana, spesso mascherata da credi più o meno religiosi. Bianca Pitzorno, già in altri meritevoli testi, ci sprona e ci incita a sognare con il potere infinito, fantastico ma reale delle parole scritte e parlate, la parola è spesso una feroce spada di Damocle, ma averne timore, è tale qual spezzare il filo che la regge.

Recensione

Si aprono da sole le pagine, come invase dai sortilegi del volgare idioma, il sonno appesa le palpebre, ma come per magia, il risveglio non è dato. La magia di una antica e mortale malsania. La giovane non ha sentore alcuno della morte che ha steso il suo vello, per ella le persone sono scomparse. Nel primo racconto, troviamo una storia cruda e pregna di sadica ignoranza religiosa. Queste sono trame magistralmente filate dalla autrice, decisamente ricercate in archivi storici e da studi approfonditi.

L’ambiente toscano, ancor crudo selvaggio, cruento e feudatario, con borghi antichi e segrete dei Castelli, che nascondono tuttora raccapriccianti segreti dell’epoca dell’inquisizione, torture gratuite e mai necessarie venivano perpetrate. Il racconto ci spalanca la porta di quei meandri di menti perverse, che condannavano anime pure che accarezzavano la scienza dell’evolversi con la natura al proprio fianco come elemento naturale di vita. Aver acquisito le conoscenze tramandate e saper farne un uso colto, faceva di una donna, una strega.
Questo racconto, non si ancora a favole per bambini o fantasie arzigogolate, esso trova radice e forma tra gli archetipi di una realtà cruda e sanguinaria come il piacere che ne traevano gli artefici, una realtà ove si condanna la donna, la si colpevolizza e la si porta al patibolo.

Il secondo racconto di “Sortilegi”, una fola sarda, che rappresenta la semplicità e la purezza data dell’innocenza di una giovinetta. Leggendo, s incrocia il tema dell’abbandono dei pargoli, la difficoltà di inserimento nella società da parte di chi non ha un albero genealogico. La storia ricamata su un canovaccio realmente esistente, ci rammenta che il male è un’arma che spesso cerca le carni dello stesso che il male perpetua.

Il terzo racconto, quasi contemporaneo, musicale e profumato, si odono le note d’archetto che l’autrice omaggia al proprio parente. Ci si culla tra note e moto ondoso dell’ Oceano Atlantico, sbarcano sulle coste dell’Argentina. La magia che i migranti sardi si legavano nelle valigie di cartone, effluvio che sparge da sacchi stipati tra le merci. Il legame delle proprie radici la magia che con forza inebria e stordisce. Un racconto semplice, come lo sono quei biscotti sardi, che danno un sentore di conforto al migrante che sfugge dalla propria miseria. Il sortilegio della natura, con il suo moto, il vento brezza marina, la luna che stravolge gabbiani, cavalli e animi umani. La magia dello scritto è potente è una ricetta che si tramanda nei cuori, nelle menti.

Conclusioni

Unica nota dolente alle belle pagine di “Sortilegi” che la Piztorno ci ha donato, sono le note in calce ad ogni racconto, precise e puntuali, soddisfano la curiosità, ma rendono tutto ciò appesantito di ludica saccenza, martoriando così, la magia della poesia intrisa nelle parole appena lette. Per questo motivo metterei 3 stelle, mentre per il tema e il lessico pulito ne meriterebbe 4.

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