“Un bene al mondo” – Andrea Bajani


Voto: 4,5 stelle / 5

La semplicità di una favola unita all’intensità di un romanzo introspettivo, la tenerezza dei sentimenti in una dimensione vaga e indefinita. Questi gli elementi che rendono così originale il romanzo di Andrea Bajani, “Un bene al mondo”, pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 2016, poi ristampato e inserito nella collana Narratori della Feltrinelli ad ottobre 2022.

Di Andrea Bajani abbiamo recensito anche “Il libro delle case“.

Trama di Un bene al mondo

In un paese imprecisato, ma uguale a molti altri, in un tempo anch’esso imprecisato, come un eterno presente, un bambino trascorre le sue giornate sempre uguali, insieme alla sua famiglia. Vive in una casa che è come un cubo, mangia cibo senza sapore, ha genitori per lo più assenti ed un carattere schivo e riservato.

Ha però un compagno fedele, il suo dolore. Lo accompagna ovunque, si accuccia accanto a lui senza allontanarsi mai. Come il bambino è un cucciolo d’uomo, così il suo compagno fedele è un cucciolo di dolore.

“Anche quando il bambino andava in bicicletta nei boschi, il dolore gli correva accanto. Non aveva bisogno di guinzaglio perché non sarebbe mai scappato, e non aveva bisogno di museruola perché non avrebbe comunque fatto del male a nessuno.”

Un giorno il bambino incontra la bambina sottile e con lei nasce una bella e profonda amicizia. Possono condividere i rispettivi dolori, passeggiare insieme, scriversi, quando le distanze aumentano. E un giorno, infatti, il bambino prenderà un treno e tutto sarà diverso.

Recensione

Un bambino e il suo dolore. Non occorrono nomi, nè informazioni relative allo spazio o al tempo. Il paese si caratterizza solo per una piazza, un asilo, una ferrovia e i boschi limitrofi. Le persone possiedono solo tratti generici.

Tutto è evanescente, ma, forse proprio per questo, altamente poetico. Inutile cercare un indizio, una spiegazione particolareggiata o semplicemente un nome al dolore. Ognuno può riconoscerlo e farlo proprio. È nell’indefinito che ognuno ritrova l’altro e se stesso. Anche la trama è di una semplicità disarmante, ma riesce ad essere struggente. Mette di fronte al proprio dolore, spinge a fare i conti con se stessi, ad ascoltarsi e riconoscersi.

Il romanzo è costruito su un’interessante metafora: il dolore umano è paragonato a un cane, docile, fedele, sempre accucciato accanto al padrone. Per quanto l’uomo cerchi di liberarsene, lui è sempre presente, diventa parte di sé . Ha bisogno di cure, attenzioni e si finisce per provare affetto nei suoi confronti.

Il titolo è tratto da una lettera di Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, nella quale il poeta dichiarava: “Questa povera città non è rea d’altro che di non avermi fatto un bene al mondo”, distinguendo l’ “orrenda barbara malinconia”, che lo divora, da quella “dolce malinconia che partorisce le belle cose” e che sente di non provare più.

Fu allora che la bambina sentì una grande malinconia riempire la stanza. Scese dal letto, a piedi nudi andò verso la finestra e l’aprì. Se non avesse fatto uscire un po’ di quella malinconia, la stanza sarebbe scoppiata. Poi tornò a letto, e capì ancora una volta quanto fa male un pensiero che cade per terra senza che nessuno si chini a raccoglierlo.”

La scrittura si presenta incisiva nella sua semplicità, priva di dialoghi o di altri elementi che possano conferire concretezza alla narrazione. Astratto e concreto si mescolano e ci regalano attimi di intensità e riflessione. E proprio quando vorremmo saperne di più, come dichiara Emanuele Trevi al termine della prefazione, “è troppo tardi per decidere: la favola ha vinto.”

Commenti