Ho appena finito di leggere il romanzo d’esordio di Raffaella Simoncini “Bulky”, pubblicato da Neo edizioni a novembre 2022. Una storia di cambiamento e di luce.
Scrivo questa recensione a caldo.
Trama di Bulky
Il titolo si riferisce a una massa tumorale che costringe la protagonista a venire ricoverata nel reparto oncologico dell’ospedale della sua città. Inevitabilmente deve fare i conti con i grandi cambiamenti e con la precarietà che la sua nuova condizione le comporta: un nuovo rapporto con il suo corpo, una quotidianità completamente diversa, nuove dinamiche tra le persone più care, la possibilità di recidiva.
“Alcuni studi hanno provato a stabilire quanto tempo sia necessario all’essere umano per sviluppare una nuova abitudine, ma non hanno raggiunto conclusioni definitive. Le tempistiche oscillano, specie quando la nuova abitudine è strettamente legata alla sopravvivenza”
In questo tempo obbligato di stasi, la protagonista Luce cerca di trovare il suo spazio, una dimensione.
Ci si può comportare come se nulla fosse diverso? Ha senso aggrapparsi alla propria vita di sempre?
Recensione
Non so dove avessi letto che in “Bulky” Raffaella Simoncini affrontava il tema della malattia con leggerezza e ironia. L’ho iniziato, quindi, aspettandomi una sorta di versione femminile di Giacomo Mazzariol (l’autore di “Mio fratello rincorre i dinosauri”).
Bè non è vero niente: non ho trovato né leggerezza né ironia.
Solo un’umile, commovente bellezza.
“Le migliaia di gesti di mio padre si bloccano tutte insieme, se avessero un suono sarebbero il cigolio di un treno che frena d’urgenza su vecchi binari”.
L’autrice si ispira a un suo vissuto personale e ci costruisce intorno una storia di amicizia e di formazione. Le protagoniste femminili sono Luce e la Cuoca. Non si sarebbero mai conosciute se non si fossero trovate a condividere la stessa stanza nel periodo più cupo della loro vita: la chemioterapia.
“Quanti sono i secondi che compongono una giornata, se restano immobili?
Se nulla cambia, si può parlare ugualmente di scorrere del tempo?”
In “Bulky” si parla di paura e di coraggio; di forza, di debolezza. Si perde la pazienza, vengono usati brick di succhi di frutta come arma contundente.
C’è la sopravvivenza: ma cosa vuol dire essere dei sopravvissuti? Come cambiano le persone che ruotano intorno a una malattia, come riescono a guardare avanti? Come evolve il rapporto con il proprio corpo che si sforma, perde peli, non trattiene niente, trattiene tutto?
Se questo libro fosse un colore sarebbe il verde. Non solo per il verde acqua scelto per la copertina, ma per il verde del camice degli infermieri, il verde degli occhi, una sciarpa di lana. È strano come serenità e sofferenza riescano a convivere nel medesimo colore, in questo romanzo.
La malattia raccontata da Raffaella Simoncini non è fatta di guerre, battaglie, eroismi o vendette. È un panorama nebbioso fatto soprattutto di attesa e di silenzi, uno di quelli che costringe a procedere a passo d’uomo e a orientarsi con i suoni non potendosi fidare dei propri occhi. Non potendo guardare troppo lontano.
“Signorina, dove si vede tra dieci anni?”
Affrontatelo, questo libro, perché “Bulky” non è un libro triste ma luminoso.
Non potevo immaginare quante forme potesse assumere la speranza.