“Chirù” (Einaudi 2015) è un’opera di Michela Murgia, scrittrice sarda, vincitrice del “Premio Campiello” 2010 con il romanzo “Accabadora”. Della stessa autrice, Amantideilibri.it ha commentato anche “Ave Mary” e “Istruzioni per diventare fascisti“..
Trama di Chirù
Un testo intrigante, da rileggere almeno una seconda volta per comprendere l’intensità del dolore sotteso al racconto della protagonista che, attraverso l’accompagnamento di tre allievi, prende coscienza di ciò che è stata la propria vita e la presenta al lettore con l’obiettivo di aiutarlo a capire cos’è l’amore, nelle sue molteplici espressioni, e cosa possa voler dire “amarsi” nel bene e nel male.
Nei vari capitoli – definiti non a caso “lezioni” – Eleonora, ormai famosa attrice di teatro, ripercorre i momenti fondamentali della propria esistenza, giungendo proprio attraverso la scrittura a prenderne piena consapevolezza e, quindi, a viverli veramente, per andare oltre.
Così lo scrivere diventa una terapia per curare le sue sofferenze di bambina, dovute ai soprusi subiti in famiglia da parte di un padre maschilista e di una madre debole, incapace di proteggere se stessa e la figlia dalla misoginia subdola del marito. Per lei ricordare significa, in definitiva, espiare immeritati sensi di colpa che continuano ad affiorare nel corso degli anni e saranno esorcizzati solo una volta incisi nella carta o portati sul palcoscenico.
Recensione
Basta leggere l’incipit del romanzo per comprendere immediatamente la raffinatezza linguistica che impreziosisce tutto il racconto. Michela Murgia ricerca e sceglie parole di campi semantici diversi per accostarle in modo così naturale da creare effetti inaspettati ma sempre di forte intensità emotiva, sia quando descrive la sua terra, a cui è legata da un bisogno atavico, sia quando si sofferma a cogliere una quasi impercettibile espressione del viso o del corpo dei suoi vari interlocutori.
“Chirù venne a me come vengono i legni della spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva”.
Nella ricercatezza dello stile espressivo sta la vera forza di questo romanzo che reclama di essere letto fino alla fine, anche quando il rapporto tra la maestra e l’allievo sembra scadere in un “dejà vu”.
Annamaria Gazzarin