Esce oggi per la Neo Edizioni il nuovo romanzo di Caterina Perali “Come arcipelaghi”. Chiude la Trilogia della casa di ringhiera iniziata nel 2015 con “Crepa” (13Lab edizioni) e continuata nel 2020 con “Le affacciate” (Neo 2020). Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.
Trama di Come arcipelaghi
“Come arcipelaghi” parla di maternità, diritto alla genitorialità, nuovi modelli famigliari. La protagonista e voce narrante, Jean, si trova ad affiancare Chiara in un percorso di inseminazione artificiale che deve essere affrontato in Spagna per via della legge italiana. Nell’affrontare il calvario psicologico della sua condomina, Jean riflette sulla monogenitorialità, sull’esistenza dell’istinto materno e sulle proprie scelte di vita e di relazioni.
Le vicende procedono per contrapposizioni tra chi è dentro e chi è fuori, e in questo mi ha ricordato un po’ il modo in cui Guadalupe Nettel ha condotto le sue riflessioni su uno degli stessi temi in “La figlia unica” (2020).
Recensione
Il primo punto a favore di “Come arcipelaghi” è la copertina: bellissima. Viene dal progetto grafico di Alessandra Dalessandro e Neo e mostra da subito la complessità e la fragilità delle relazioni. Perché è di queste, che parla, alla fin fine, il libro. Se John Donne diceva che nessun uomo è un’isola, Caterina Perali rinforza il concetto e aggiunge: siamo arcipelaghi, gruppi di isole, destinate a non toccarci mai ma a vivere affiancate, a cercare di contare l’una sull’altra, ma a tornare, sempre, alla nostra solitudine.
E di solitudine e malinconia, infatti, è impregnato questo romanzo. La voce narrante non è coinvolta emotivamente nella scelta di Chiara e la sua empatia si consuma nella propria messa in discussione: il problema di Jean è proprio lì, la mancanza di immedesimazione, e lei lo sa e ne soffre. Di fronte a una donna che fa di tutto per avere un figlio, la protagonista si sente in difetto per non volerne. Ed ecco la contrapposizione tra il dentro e il fuori che dicevo prima: il mondo sembra scindersi, dice Jean a un certo punto, tra chi è con figli e chi è senza figli. Di fronte a un mistero così grande come il desiderio di maternità, chi non riesce a penetrarlo si sente sbagliato, fuori posto.
“Siamo arcipelaghi nel mare dell’esistenza, l’acqua che ci schizza addosso è la stessa per tutti. Cambia solo il vento.”
L’equilibrio sottile riportato in copertina si tramuta anche nella narrazione stessa. Il pregio di questo romanzo è, a mio parere, il non schierarsi. Vengono sollevate domande che non hanno ancora risposta e si rimane lì, cautamente, in piedi sul filo sottile tra i pro e i contro. I nuovi modelli famigliari sono, appunto, nuovi, e solo il tempo ci mostrerà le conseguenze sociali e psicologiche di questi cambiamenti.
Con un approccio quasi giornalistico siamo accompagnati nella complicata avventura generatrice di una donna single che non è assistita dalla legge italiana. Caterina Perali è brava a non lasciar trapelare giudizi: mostra solo i fatti. Se si esprime, lo fa esprimendo dubbi, perplessità, questioni etiche e questioni umane.
“Milano (…) ha fretta di cambiare, si dimentica di morire. Non si ferma, scalpita, si rigira. Si alza, cresce. Perché dover scegliere?”
Nonostante la piccola luce che trapela alla fine del romanzo, resta sospeso un refolo dolceamaro di fallimento. Il tono della narratrice, le dichiarazioni di altre donne che scelgono la procreazione assistita, le terapie ormonali concorrono al sentore di qualcosa di sbagliato in tutta questa situazione. È qualcosa di inafferrabile e crepuscolare. Forse è insito nella legge italiana, forse nel desiderio smodato di maternità (“non basta volerlo”) o forse nella sua assenza, o forse ancora in questo miracolo imperscrutabile che è il nostro corpo.
“Come arcipelaghi” è un libro che permette di sollevare una tematica difficile e spinge a interrogarsi sulle proprie posizioni.