Di cose letterarie da (ri)scoprire

In quanto lettore indefesso e instancabile – sebbene ultimamente abbia ridotto un po’ i ritmi – ritengo vi siano scrittori che dovremmo assolutamente (ri)scoprire. Artisti che – a mio parere ingiustamente – vengono messi in secondo piano rispetto ad altri, magari immeritevoli delle attenzioni loro tributate.

Io ve ne vorrei (ri)proporre sette. Quattro di essi – Imbriani, Morovich, Zena e Panzini – sono autori dei quali non si sente tanto parlare. Pur non essendo da Nobel, sono pur sempre onesti artigiani della parola. E hanno raggiunto risultati tutt’altro che disprezzabili. Gli altri tre – De Amicis, Montale e Capuana – sono invece scrittori più famosi, ma di essi sono state rese note alcune opera a discapito di altre, non meno interessanti.

Comincio proprio da uno di loro.

De Amicis: non solo Cuore

A scuola ci hanno insegnato che Edmondo De Amicis è solo “quello di Cuore”, spacciato per capolavoro assoluto. Io non sono d’accordo. Intanto, lo trovo un libro banale e lacrimevole. E poi Edmondo ha scritto tanto altro. Dimostrando di essere piuttosto bravo nel suo, che non è unicamente la scrittura intrisa di melassa e buoni sentimenti.

Al suo attivo, lo scrittore piemontese ha una quantità industriale di racconti che spaziano dall’ironico al drammatico (posso segnalarvi Carmela, pubblicato dalla Sellerio). Ha scritto anche diversi romanzi e una serie di bozzetti. Senza contare una sorta di romanzo-reportage intitolato Sull’oceano, che riferisce del suo viaggio in America). Di Edmondo De Amicis abbiamo recensito anche “Un dramma nella scuola“.

E mi fermo qui, ché lo spazio è poco e devo parlare anche di altri scrittori.

Eugenio Montale: il prosatore che non ti aspetti

Un’altra cosa che ci hanno insegnato a scuola è che Eugenio Montale scriveva unicamente poesie. Nemmeno questa è vera. Lo conosciamo come poeta, ma si è dato anche alla prosa. E ha scritto più in prosa che in poesia. Per averne una prova, basta considerare che le sue liriche occupano un solo volume dei Meridiani Mondadori, mentre le prose ne occupano ben tre, due dei quali parecchio corposi.

La farfalla di Dinard è, credo, la sua raccolta di racconti più conosciuta. La sua scrittura narrativa non raggiunge i livelli di quella poetica. Di solito, infatti, i poeti non riescono altrettanto bene in prosa, e viceversa i prosatori lasciano a desiderare in poesia. Ci sono delle eccezioni (Gabriele d’Annunzio, se proprio vogliamo fare un nome), ma la “regola” è più o meno quella.

Ciò non toglie che i suoi racconti e i suoi articoli siano tutt’altro che disprezzabili, per via dello stile senza fronzoli e della chiarezza espressiva.

Vittorio Imbriani: il barocco dell’Ottocento

Non so quanti conoscano lo scrittore napoletano Vittorio Imbriani. A naso, direi pochi. Fra questi, però, figura addirittura Benedetto Croce, che ne andava matto. Io l’ho conosciuto all’università: nel programma del primo esame di Lingua e letteratura italiana c’era la raccolta di racconti Il Vivicomburio. Me ne sono innamorato subito. Avrei tanto voluto laurearmi su di lui. Ma il mio relatore mi ha dissuaso dicendomi che gli specialisti mi avrebbero fatto a pezzi.

Questo non mi ha chiaramente impedito di cercarne e acquistarne le opere. Imbriani merita d’esser letto per la sua posizione anacronistica nella nostra letteratura. In pieno periodo verista, questo mi si dedica alla scrittura barocca. Ogni suo periodo trasuda neologismi e virtuosismi assemblati con raro sarcasmo. I suoi romanzi e racconti – tra cui Dio ne scampi dagli Orsenigo – dovrebbero essere ancora disponibili nei cataloghi di Serra e Riva, Vallecchi e Otto/Novecento. Ma non ne sono del tutto certo.

Remigio Zena: il verista della Liguria

Per quanto mi riguarda, Remigio Zena è stato una sorpresa. Per tre semplici motivi. Il primo è che non ne sospettavo l’esistenza (ma questa cosa non fa testo, quindi lasciate perdere).

Il secondo è che questo scrittore ligure viene annoverato fra i veristi. Mentre io pensavo – avendo presenti Verga e Capuana – che gli autori aderenti a questo movimento letterario fossero praticamente tutti del Sud.

Il terzo è un volume pubblicato nel 1977 dall’editore Einaudi. S’intitola Confessione postuma e contiene quattro storie appartenenti al genere fantastico, e quindi decisamente lontane dalla narrativa verista. La cosa in questo caso bizzarra è che io li ho acquistati ben prima di scoprire che il loro autore era conosciuto per la sua adesione al Verismo.

Enrico Morovich: un maestro della narrativa breve (anzi, brevissima)

Enrico Morovich è uno dei tanti autori che ho cominciato a leggere grazie agli studi universitari. Non sapevo niente, di lui. Nemmeno che fosse esistito. Anche qui ci ha messo lo zampino il professore con cui mi sono laureato.

Di Morovich non si trova molto, in giro. Alcuni romanzi – Il baratro, La caricatura, L’abito verde – potrebbero essere ancora disponibili. Ma io vorrei segnalarvi Miracoli quotidiani, pubblicato da Sellerio nel 1988. Contiene i racconti di questo autore, un vero maestro della narrativa breve. Alcune sue storie non superano la mezza pagina. Eppure sono semplicemente perfette: essenziali e conchiuse in se stesse. Meritano davvero, ve lo assicuro.

Alfredo Panzini: lo scrittore “coniglio”

Anche di Alfredo Panzini ho sentito parlare mentre studiavo all’università. Una mia collega si stava laureando proprio su questo autore. Però io ho cominciato a leggerlo molto tempo dopo. Era un onesto artigiano della parola. Uno di quelli che io chiamo “scrittori coniglio”. Perché era incredibilmente prolifico.

La Sellerio, oltre al racconto lungo dalle venature noir La cagna nera, ha pubblicato anche Grammatica italiana. Perché Panzini, in questo libro gradevole e leggibilissimo, si è occupato della lingua italiana. Entrambi i volumi dovrebbero essere reperibili. Diverse sue opere si possono comunque trovare nel catalogo di Massimiliano Boni Editore.

Luigi Capuana: il fondatore dimenticato

Così come De Amicis è “quello di Cuore”, Luigi Capuana è “quello de Il marchese di Roccaverdina”. Non se ne sente più parlare, offuscato com’è dal “collega” Verga. Eppure è stato il fondatore del Verismo italiano.

Il Dizionario Enciclopedico Italiano della Treccani gli dedica un paragrafo striminzito, dimenticando di menzionare, fra le altre cose, il suo libro d’esordio: Profili di donne. Ma lui ha scritto parecchio. E non solo romanzi (fra cui ricorderei Giacinta e Profumo). Si è dato alla saggistica (Gli ismi contemporanei) e a generi non esattamente contemplati dal movimento verista. Alludo a noir e fantastico: ve ne sono esempi nelle raccolte Istinti e peccati e Novelle inverosimili. Non dimentichiamo, poi, Un vampiro, la sua novella horror più conosciuta, e le numerose fiabe.

La rassegna si conclude forzatamente qui.

Direi che cose letterarie da riscoprire ne avete.

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