“Dove andare” è una raccolta di poesie di 48 pagine di Antonio Chiades, pubblicata da Antiga Edizioni a marzo 2024. Il pieno e il vuoto si sorreggono a vicenda nel pudico canto a più voci, dove il contrappunto intensifica o alleggerisce la trama narrativo-poetica dei versi.
Trama di Dove andare:
Dove andare è l’incognita della vita, di un destino che si risolve ad assecondare i moti della natura, come nella lirica che dà il titolo alla raccolta, che è un affresco di vivace immediatezza espressiva:
“Seduto per terra / sul sentiero / l’uomo mormorava / ho il cuore che batte / Maria lo conosceva. / Ti accompagno, se vuoi, / telefono a una donna, / diceva, a qualcuno / che possa aiutare / No, non importa, / non serve. / E non si capiva / se l’uomo seduto / volesse rialzarsi davvero / o se un pensiero / lo tenesse legato / Poi si è incamminato / con un sorriso leggero / sorpassando / lo scorrere svelto dell’acqua / che lì vicino / saliva dalla terra e dai sassi / e sapeva, lei sì, / sapeva dove andare.”
Sono ritratti incisivi, intessuti di gesti, ricamati di parole:
“A volte basta / una lenta, assetata pietà / a colmare la vita / una mano che sfiora / i capelli, i pensieri, / un guardare negli occhi / che dice già tanto / E poi parole / che annunciano, / nelle notti più insonni, / la fiammante meraviglia / di ogni cammino / che sorpassa e dimentica / il male del mondo” (A volte basta).
I personaggi affiorano dai tratti più salienti che li definiscono, circoscrivendoli ad un dettaglio, uno sguardo, una posa:
“La ragazza dagli occhi / di pianto / che appena saluta / l’uomo dalla barba di fuoco / sulla sedia / dipinta di azzurro / stanno lì, senza parlare / sulla porta / dell’osteria di campagna / affresco e misura / di quello che appare / non salutano più / neppure chi giunge, chi passa / si guardano attorno / sorretti da un puro bastone / raccolto nel bosco / prima che cadesse la neve.” (Senza parlare).
Recensione
Rivive l’anima grande di artisti come Van Gogh, nei suoi dialoghi intimi con il fratello Theo:
“Ultimo giorno / del milleottocentosettantasei / Van Gogh scriveva / vacillando in preghiera / C’era temporale, Theo, / puoi immaginare / quanto fosse bella / la strada / con le nubi scure / bordate d’argento / Passavano i soli più ardenti / stelle confuse / le ore sui campanili / il blu più insistente / E passano ancora / i Van Gogh / di ogni stagione / tenendo stretto un dolore / a ogni svolta di strada” (C’era temporale, Theo).
Il poeta è grato alla vita, ad ogni istante donato, un fiorire di piccoli gesti e parole in una rassicurante felicità domestica:
“In un giorno di sole / a febbraio / ho compiuto tanti anni / Qualcuno ha telefonato / altri hanno stretto la mano / a tutti ho raccontato / che la vita / è sempre una festa, / non finisce / mai di stupire / Chi restava in silenzio, / chi credeva a fatica / il cuore guardava / verso altri orizzonti, / Maria preparava / il pane di stelle / lei che rimane / la luce più accesa.” (In un giorno di sole).
È l’incanto del paesaggio innevato, incastonato tra i monti, come in una fiaba. Ma anche il mare ha il suo irresistibile fascino, declinandosi nelle diverse stagioni. Egli custodisce con cura ogni seme di bellezza che è in ciascuna persona che incontra, in ogni storia, in ogni volto:
“Le persone che incontro / i paesaggi, i graffi, i respiri, / nelle ore cadenti / si fanno leggeri / come fiocchi di neve, / come due abeti / sempre vicini, / la bambina giunta da poco, / il vecchio che dice / sono qui, / i ragazzi che cantano a scuola, / l’uomo più alto che ama / le fragranze dell’est / il volo di un pianoforte / Sono voci, racconti, tumulti / vissuti a metà / lungo tutto il cammino / che occorre / per vivere semplicemente.” (Le persone che incontro).
La poesia, come il Re Mida, trasforma in oro tutto ciò che tocca, trasfigurando con il suo sguardo iridato, come in un caleidoscopio di miraggi, la realtà che attraversa:
“Riuscivo a vedere le stelle / stanotte dai vetri / della mansarda. Stavano lì / sui profili dei monti / tenere e ardenti / come racconti sospesi / Qui sotto, in paese, / dormivano ancora: / la donna tutta dipinta, / l’uomo già sveglio all’aurora, / la vecchia inseguita dai fantasmi, / l’artista col suo amore diverso, / la ragazza che esce di casa / e sorride, / Tiziano fermo sul monumento / la festa del venticinque / a dicembre / diventa soffio leggero / se giunge in visita la neve / è musica arcana / per ciò che vive / nel sonno della terra / per ogni annuncio / che tocca / l’immensità del cuore.” (Riuscivo a rivedere le stelle).
Le poesie di Antonio Chiades, nei suoi toni delicati e nelle sue sfumature cangianti, sono un canto alla vita – costellata di teneri sorrisi, di sguardi penetranti, di scorci pittoreschi, di istanti preziosi – che si avvia serenamente, serbando intatta la speranza, verso l’Eternità:
“Arriveremo / forse di sera / nelle ore più miti / con la luce / che diventa pienezza / Già adesso / tocchiamo con mano / qualcosa / che si chiama bellezza / attenti che il cuore / sia pieno, / non diventi di sasso / Siamo qui, / arriveremo Signore, / in attesa che tu / ci riveli il cammino / fermamente.” (Arriveremo).
Flavia Buldrini