“Grotesque” di Natsuo Kirino (Beat 2021) è un ponderoso thriller, documentato come un reportage sul Giappone contemporaneo e avvincente come un saggio sulla psicologia femminile. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “Pioggia sul viso“.
Trama di Grotesque
Due sorelle sanguemisto conoscono per esperienza diretta i capricci della sorte. Yuriko possiede una bellezza eccezionale: i tratti nipponici materni sono stati sublimati da quelli caucasici del padre svizzero.
“Yuriko era talmente bella da suscitare orrore. Sulle prime chiunque rimaneva letteralmente sopraffatto dal suo incanto. Poi a poco a poco quella sua bellezza assoluta si faceva opprimente, fino a trasformarsi in qualcosa che provocava pura inquietudine.”
Questo è il pensiero della sorella più grande, di cui il lettore ignora il nome proprio, condannata o almeno sembra a rimanere la sorella brutta di Yuriko e viceversa. Sembra. Questa volta i particolari fisici meno attraenti dei genitori si sono saldati in un insieme sgraziato ed ordinario.
Se tutti vedono e guardano Yuriko, nessuno vede la sorella e quando accade viene guardata solo la sua bruttezza. Legate a doppio filo come due gemelle omozigote, completano nell’altra la loro identità sociale. Entrambe suscitano stupore ed indulgenza nel prossimo, anche se per motivi diversi.
Nel caso di Yuriko trattasi dello stupore per una bellezza straordinaria accompagnato dall’indulgenza che essa provoca, secondo un trapianto nipponico della kalokagathia Greca che attribuisce alla bellezza uno spessore etico. Vedremo che Yuriko, amorale per scelta e, a suo dire per necessita’, non merita forse tale benevolenza.
L’altra sorella
Nel caso della sorella brutta, invece, il prossimo commisera con indulgente stupore una ragazza sfortunata. Fino all’adolescenza è il destino a decidere per loro. Poi, complici dolorose vicende familiari, ciascuna fa scelte diverse o non sceglie per arrivare alla stessa meta chi prima, chi poi. Una delle due, prossima alla quarantina, viene brutalmente uccisa mentre esercita con aggressivo cinismo e indifferenza per il dono ricevuto dagli dei il mestiere piu’ antico del mondo. Anche se il responsabile, reo confesso, viene assicurato alla giustizia il lettore non viene gratificato da una conclusione certa in cui giustizia e verità trionfano.
L’impostazione a quattro voci narranti, infatti, impone un relativismo nemico della verita’. Chi mente? Chi bara e chi no? Una sorta di “Cosi’ e’ se vi pare” nella cultura del Sol Levante.
Recensione
Un romanzo non semplice. Natsuo Kirino sorprende il lettore con bordate inaspettate, nel rispetto della coerenza psicogica dei personaggi. Come l’epilogo che piomba inatteso come una palla curva a baseball.
Dirompente l’impatto.
Emerge un tessuto sociale competitivo e rigidamente classista. La pietas dei figli verso i genitori un optional o un fardello. Malgrado la feroce selezione meritocratica dei test di ammissione, chi non proviene da una famiglia ricca rimarrà un paria.
Il successo professionale, per chi ha dovuto sudare per ottenerlo, l’unica misura del proprio valore, del proprio esserci nel mondo. In questo spaccato drammaticamente reale, la bellezza non e’sempre un mezzo di ascesa sociale, come nella migliore tradizione del romanzo ottocentesco. Anzi. Il successo nel mondo del lavoro, per esempio, viene raggiunto a caro prezzo dalla sgraziata Kazue che fa orrore agli uomini delle cui attenzioni ha un disperato bisogno. Per vincere, questo sembra suggerire l’autrice, ci vuole un jolly: DIVENTARE GROTESQUE.
“Tu, Kazue e io siamo uguali. Siamo povere creature il cui cuore è stato lacerato da una grande illusione. Purtroppo, davamo peso solo alle apparenze e facevamo di tutto perché gli altri ci giudicassero in un certo modo, ovvero come membri di un’élite benestante e privilegiata…”
Kirino rientra nel mio personale Olimpo delle divinità letterarie, se Le quattro casalinghe di Tokyo è bello, Grotesque è magistrale. A dire il vero non lo consiglierei come primo incontro per conoscere la sua scrittura, lei, la regina giappo del noir, potrebbe deludere, perché qui siamo di fronte ad un lavoro che travalica il genere. Qui, un po’ come fa la Oates “a casa sua”, Kirino massacra la società nipponica, la seziona, la analizza e ci mostra i mostri (i “grotesque”) che è in grado di generare.
Il romanzo è corposo, copre un arco temporale di diversi decenni e non è basato sull’azione, quanto sui ricordi di una donna mezzosangue senza nome – se ne scopre solo il cognome, Hirata – all’indomani dell’omicidio della sua bellissima sorella Yuriko e di una ex compagna di liceo Kazue Satȱ, entrambe dedite alla prostituzione. Dei delitti è accusato un immigrato cinese. Per completare il quadro sono riportate le testimonianze, sotto forma di memorie e diari, delle vittime e del presunto carnefice.
Kirino amalgama sapientemente il tutto tenendo un ritmo coinvolgente per le quasi 900 pagine di racconto, senza dover ricorrere a chissà quali colpi di scena, semplicemente scendendo nelle profondità oscure dell’animo umano, mostrando le storture e le mostruosità che vi si celano.
I personaggi principali non sono esattamente “luminosi”, vi è opportunismo, perfidia, malizia; aspetti sviluppati – soprattutto dalle donne del racconto – per reazione alla società fortemente classista e maschilista giapponese. Da questo punto di vista è un lavoro che mette in luce le contravvenzioni alle regole pesanti e ossessive del Giappone. Regole che vengono spesso imposte già dalle scuole, soprattutto in quelle elitarie ed esclusive, trasformando l’ambiente educativo in un microcosmo che si identifica con la realtà esterna, fatta di valori assoluti che sfociano in competitività, individualismo ed egoismo.
La parte dedicata alla prostituzione ha aspetti raggelanti, meschini, crudi, come spesso può capitare di leggere nei libri di Kirino, senza mezze misure, senza censure di moralità, senza timore di essere eccessivamente scomoda (una scomodità che le era stata già attribuita per aver osato scrivere di una donna che uccide il marito, ne Le quattro casalinghe di Tokyo).
Il finale, poi, oggetto di confronto nel gdl #leggendoilgiappone per le diverse impressioni che ha suscitato, è per me tipicamente “kirinico”, circolare e prospettico, perché spesso capita che dove non si vuole andare, ci si vada correndo.