Igiene dell’assassino – Amélie Nothomb


Voto: 5 stelle / 5

“Igiene dell’assassino” (Hygiène de l’assassin), pubblicato nel 1992, è il romanzo d’esordio di Amélie Nothomb, scrittrice belga di culto tradotta in oltre 45 lingue, giunto alla decima edizione per i tipi della Voland (Voland 2023, 155 p.). Ho deciso di leggerlo dopo essere stata folgorata sulla via di Damasco – quella letteraria dei romanzi che considero imprescindibili -, da “Stupore e tremori” che nel 1999 le valse il Grand Prix du roman dell’Académie française.

Trama di Igiene dell’assassino

Il sarcofago merovingio adibito a mobile bar per la preparazione del cocktail preferito (conoscete l’Alexander a base di cognac, crema di cacao e panna fresca?) sembra la versione su scala ridotta del luogo che il protagonista ha scelto per il suo eremitaggio. Infatti il modesto appartamento dove da decenni si sottrae al consorzio umano ricorda una tomba, distante anni luce dal buen retiro di un artista in cerca di quiete e ispirazione. Anche perché quiete e ispirazione lo hanno abbandonato da un pezzo. La ragione è presto detta. L’ottuagenario Prétextat Tach (obeso e invalido) vive da solo in uno spazio claustrofobico adattato alle sue esigenze e al buio, tanto che anche la sua voce ha un timbro sepolcrale. Fatta eccezione per un’infermiera e l’agente letterario, non ha contatti con l’esterno. È uno scrittore da Premio Nobel, all’attivo ventidue romanzi, una leggenda vivente che la sua condotta da misantropo iconoclasta ha continuato a ingigantire. Perciò mondo editoriale, stampa e pubblico  –  fatti a brandelli dall’autrice – sono in fermento quando si diffonde la notizia che il mitico Tach ha deciso di rilasciare a quattro giornalisti accuratamente selezionati l’unica intervista della sua vita.

I primi tre vengono derisi, umiliati, cacciati in malo modo. Malgrado la loro esperienza, scivolano su domande banali o indelicate, si fanno cogliere in fallo, inforcano una gaffe dietro l’altra o eccedono nell’adulazione. Nessuno sostiene l’onda d’urto argomentativa di una vecchia volpe che fa del paradosso e della provocazione il suo vessillo. Il padrone di casa si compiace di metterli al tappeto nel botta e risposta di duelli verbali.

Adottando la strategia dell’attacco frontale e i bluff dei pokeristi, l’ultima giornalista riesce a strappare uno scoop destinato a entrare nella storia. Qual è il suo segreto? È l’unica ad aver letto l’intero corpus tachiano con una pazienza pari alla sua tenacia.

Recensione

Alla Nothomb bastano poche sciabolate per invischiare il lettore nell’atmosfera paradossale, cinica, malsana di una storia tortuosa allineata sulla logica, il suo contrario, le sue deviazioni. Perché la linearità della trama articolata in quattro interviste è apparente. Su questo romanzo che ha molto da dire, è stato scritto tutto perciò mi soffermo su un aspetto tabù: il fascino del disgusto e del ripugnante che lo stesso Tach definisce “estetica del vomito”. È vero che uno dei fili conduttori è il rapporto con il corpo, insieme alle valenze simboliche del cibo per eccesso o privazione. È altrettanto vero che il romanzo si spinge all’estremo, avallando un’estetica della bruttezza, di cui l’obesità grave è l’aspetto più appariscente, quale solo un sacerdote del bello può concepire. E Prétextat Tach ama la Bellezza con un’attitudine totalizzante e mortifera alla Dorian Gray. Anche lui, infatti, desidera liberarla dalla condizione transitoria e fuggevole che la caratterizza.

Si presenta così questo genio egotista, “l’unico lettore in grado di capirsi“:

Quattro menti, occhi da maiale, un naso come una patata, niente peli sul cranio, né sulle guance, la nuca pieghettata di cuscinetti, le guance pendenti. E mi limito alla faccia per riguardo nei suoi confronti. (…) Un incarnato da eunuco in un viso paffuto e imberbe; in realtà la mia testa assomiglia a un bel paio di chiappe, lisce e molli. È una testa che ispira più il riso che il voltastomaco; tuttavia avrei preferito il voltastomaco. È più tonico.

Tanto è statico il corpo bloccato dal suo stesso peso, tanto guizza il pensiero.

Dialoghi brillanti, ricchi di riferimenti culturali viaggiano sul paradosso, il sarcasmo, il cinismo, l’ironia, il rovesciamento del sentire comune e dell’etica. Si piegano al sadismo e alla perfidia. “Igiene dell’assassino” non è una lettura facile e tocca argomenti scomodi. Inneggia il nichilismo di Louis-Ferdinand Céline, presentato come l’unico scrittore degno di questo nome. Asfalta ogni forma di femminismo in un mondo dove le donne non dovrebbero esistere e a suo modo legittima l’amoralità. Viviseziona chi scrive e i libri li compra, che leggere, capire, imparare è cosa rara. Però mi inchino di fronte all’intelligenza, all’originalità e alla padronanza del mezzo espressivo di Amélie Nothomb, ventiseienne all’epoca della pubblicazione.

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