Il cambiamento nei cartoni animati giapponesi

Quando schiacci un pulsante magico…

Nei cartoni animati giapponesi il cambiamento non è soltanto di tipo fisico, esteriore, ma anche e soprattutto spirituale. Perfezionare il corpo è soltanto il primo passo. Prepara alla maturazione interiore attraverso la sofferenza, che tempra il carattere e fornisce gli strumenti per affrontare le difficoltà della vita. I personaggi evolvono mettendosi continuamente alla prova. L’obiettivo è superare i propri limiti, andare oltre. Vuoi sconfiggere il tuo nemico? Allora devi prima battere te stesso. La chiave è la conoscenza.

Sia ben chiaro: cambiare non è indolore. Comporta scelte difficili. Impone l’accettazione di responsabilità il cui peso ti piega le spalle e di cui, forse, avresti fatto a meno. Non puoi scappare. Quando sei il solo – o la sola – a poter fare una cosa, a offrire la vita per il bene comune, c’è poco da fare. Rispondi alla chiamata. Ti sacrifichi. Vai. Sei il Prescelto. E i privilegi si pagano. In contanti.

 

Cambiamento robotico

Si cambia a tutto tondo. Prendete i robottoni. Alcuni – come Trider G7, Daitarn 3, Danguard e Daikengo – partono come astronave per poi cambiare di stato. Altri aggiornano il proprio arsenale, aggiungendovi nuove armi. È necessario per stare al passo con il nemico.

Quelli che hanno l’attacco finale possono essere costretti a modificarlo, perché magari non funziona più tanto bene. Ecco che Daltanious aggiunge il Nucleo avvolgente alla sua Spada infuocata, mentre Vultus 5, prima di tagliuzzare l’avversario con la sua Excalibur gridando In nome della terra, lancia una pallina luminosa che si chiama Saetta globulare.

Il mutamento coinvolge anche i piloti. Alcuni diventano parte integrante del robottone. Hiroshi, colpendosi i pugni, si trasforma nella testa di Jeeg. Takeru e Mai, unendosi, costituiscono la fibbia – o quel che sia – del magnetico Gackeen. Takeshi, in tenuta da giocatore di football americano, ingrandisce il proprio corpo, in maniera che il robot Diapolon diventi la sua armatura.

 

Metamorfosi tecnologiche

I supereroi nipponici si distinguono da quelli americani perché la metamorfosi non è causata da alcun incidente. È frutto di una scelta forzata. Prendete George Minami. Deve fermare gli alieni di Waldaster che, per inciso, hanno ucciso suo padre. Per fare questo, veste i panni di Tekkaman, il cavaliere dello spazio. Soffrendo parecchio, visto che il suo corpo si ricopre interamente di filo spinato. Con una clausola di quelle che non lasciano tranquilli: dopo mezz’ora deve tornare normale, se non vuole lasciarci le penne.

Stesso discorso per Takeshi. Il casco che gli permette di combattere come Hurricane Polymar, dopo mezz’ora lo molla a piedi.

A Tetsuya, invece, va molto peggio. Per contrastare gli androidi impazziti del padre, gli tocca farsi convertire nel guerriero di nome Kyashan. Il che significa rinunciare alla propria umanità. Può ancora provare sentimenti, ma cose come tatto olfatto e gusto se le scorda. Ha un’arma potentissima: un raggio giallo che parte dalla sua visiera. Il problema è che se lo usa, rimane a secco d’energia per un po’.

 

La potenza è niente, senza controllo

In tutti questi casi scatta un fenomeno di compensazione presente in parecchie serie. Le straordinarie capacità di molti personaggi presentano delle restrizioni. Il limite può essere la durata temporale dei loro poteri. Oppure il carattere: magari nella vita di tutti i giorni sono persone immature e inaffidabili, che pensano solo a divertirsi, ad abbuffarsi, o a soddisfare certi pruriti. Ma ogni volta che c’è bisogno di loro, si trasformano. Mostrando una determinazione, un coraggio e uno spirito di sacrificio di cui mai li avresti detti capaci. Il messaggio è comunque chiaro: non è giusto lasciare troppo potere nelle mani di una sola persona. Perché, come diceva un vecchio spot pubblicitario, la potenza è niente, senza controllo.

Commenti